Cimabue assure le renouvellement de la peinture byzantine en rompant avec son formalisme et en introduisant des éléments de l’art gothique, tels que le réalisme des expressions des personnages. De ce point de vue, il peut être considéré comme l’initiateur d’un traitement plus réaliste des sujets traditionnels, ce qui en fait le précurseur du réalisme de la Renaissance florentine.
« [Cimabue] triompha des habitudes culturelles grecques qui semblaient passer de l’un à l’autre : on imitait sans jamais rien rajouter à la pratique des maîtres. Il consulta la nature, corrigea en partie la raideur du dessin, anima les visages, plia les tissus, plaça les personnages avec beaucoup plus d’art que ne l’avaient fait les Grecs. Son talent ne comportait pas la grâce ; ses Madones ne sont pas belles, ses anges dans un même tableau sont tous identiques. Fier comme le siècle où il vécut, il réussit parfaitement les têtes des hommes de caractère et spécialement celles des vieillards, leur imprimant un je ne sais quoi de fort et de sublime que les modernes n’ont pu dépasser. Large et complexe dans les idées, il donna l’exemple des grandes histoires et les exprima en grandes proportion. »
Son influence est immense dans toute l’Italie centrale entre 1270 et 1285 environN 7 :
« Avec ses surprenantes capacités d’innovation et avec la puissance imaginative qui lui a permis les grands effets d’Assise, Cimabue fut de loin le peintre le plus influent de toute l’Italie centrale avant Giotto ; mieux : il en fut le point de référence. »
Développée et éclipsée par ses deux géniaux disciples Duccio et Giotto, son impulsion réaliste innerve ainsi le cœur de la peinture italienne et plus généralement occidentale.
Notre perception de Cimabue a cependant été faussée pendant des siècles par le portrait qu’en a donné Vasari dans sa première Vie, biographie s’inscrivant dans une vision campaniliste à la gloire de Florence (écartant de facto Giunta Pisano) et dont le principal objectif est de servir d’introduction et de faire-valoir à celle de Giotto. Le simple fait qu’il soit dans les Vite a longtemps rendu inacceptable sa formation pisane, les biographies continuant systématiquement à le rattacher à Coppo di Marcovaldo – le florentin le plus illustre le précédant. Et le retrait de la Madone Rucellai du catalogue de Cimabue en 1889 – œuvre clef du dispositif vasarien – a même un temps remis en cause la véracité de son existence.
La ré-évaluation de Cimabue s’est aussi heurtée à une malédiction persistante dont souffre le maigre corpus d’œuvres parvenues jusqu’à nous : la céruse (blanc de plomb) utilisée dans les fresques de la basilique supérieure Saint François d’Assise est, par oxydation, devenue noire, transformant les œuvres en un négatif photographique déroutant voire illisible; le sublime Crucifix de Santa Croce a subi des dommages irréversibles lors de l’inondation de Florence en 1966, et enfin le tremblement de terre de 1997 a fortement endommagé la voûte des quatre évangélistes – la partie jusqu’alors la mieux préservée des fresques de la basilique supérieure Saint François à Assise, pulvérisant notamment le saint Matthieu.
Come tipico dell’epoca l’affresco venne eseguito in una sola giornata stendendo un arriccio grande quanto il ponteggio e procedendo poi con ampie finiture a secco (la stessa tecnica è alla base del pessimo stato di conservazione degli affreschi di Cimabue nella basilica superiore).
L’affresco fu forse ritoccato dalla bottega di Giottonel XIV secolo, ridipinto nel 1587 da un pittore tardocinquecentesco, forse Guido da Gubbio. Nel 1872–1874 fu restaurato da Guglielmo Botti, con un intervento che venne lodato da Cavalcasellema praticando uno di quegli “abbellimenti” neogotici in voga all’epoca. Nel 1973 fu ancora restaurato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Le ridipinture non sono state del tutto eliminate per cui l’affresco originale Cimabuesco appare lacunoso e in pessimo stato di conservazione. Molti critici ne valutano solo l’impostazione generale, non i dettagli.
L’opera fu riconosciuta come appartenente a Cimabue da Fra’ Lodovico da Pietralunga nel XVI secolo, ipotesi confermata nel XIX secolo da Sebastiano Ranghiasci. Da allora nessun critico ne ha messo in dubbio l’attribuzione. Più discussa è la datazione che oscilla tra il 1280 e il 1300 circa a seconda degli studiosi. Si è affermata la tesi (da Brandi, 1951, in poi), che la Maestà sia anteriore agli affreschi dello stesso Cimabue nella Basilica superiore (1288–1292); anzi si suppone che proprio la sua felice riuscita sia stata alla base dell’assegnazione a Cimabue degli affreschi della basilica superiore. Ciò è plausibile anche confrontando gli affreschi da un punto di vista stilistico. La recente analisi stilistica dettagliata e rigorosa di Luciano Bellosi (2004) data l’opera al 1285–1288 circa, all’inizio dell’attività assisiate dell’artista.
Adolfo Venturi, notando l’inconsueta asimmetria, ipotizzò che gli adiacenti affreschi di Giotto e bottega avessero coperto una figura alla sinistra del trono della Vergine, simmetrica a San Francesco sulla destra, che avrebbe potuto essere Sant’Antonio da Padova oppure san Domenico (Nylom, 1969). Forse il san Francescofu aggiunto in seguito su richiesta della comunità francescana (ancora Nylom, 1969), ma questa ipotesi è oggi in genere scartata per l’equilibrata organicità della composizione, sia che sia presente un secondo santo, sia senza.
Il trono ligneo di Maria, elegantemente intagliato e un tempo abbellito da dorature, è disposto in tralice come nella Maestà del Louvre, non ancora in scorcio centrale come nella Maestà di Santa Trinita. Sulla spalliera si trova una cortina ricamata. Maria tiene il Bambino sulle ginocchia con una sciolta posizione asimmetrica, poggiando il piede destro su un gradino basso e quello sinistro più in alto, anche per facilitare la tenuta del figlio che siede su quel lato. Gesù, dal volto evidentemente ridipinto (come quello di Maria), tende una mano a afferra con naturalezza un lembo della veste della madre, mentre Maria, dalle dita lunghe e affusolate, gli accarezza un piedino. La forma delle mani è in special modo tipica dell’artista e della sua cerchia, come si vede in opere come la Madonna di Castelfiorentino. Alle ridipinture vanno ascritti anche i panneggi.
Gli angeli, sorridenti e rivolti allo spettatore, si dispongono attorno al trono accarezzandolo con eleganza e inclinando ritmicamente le teste, ora e destra, ora a sinistra, ispirata a opere romane come la Maestà di Santa Maria Antiqua (V secolo) o quella Theotokòs di Santa Maria in Trastevere(fine del VII secolo). Essi sono scalati su due file: se la diversa profondità è ben suggerita dalla loro fisica presenza esaltata dalla platicità dei loro volumi, non chiarito è invece il punto di appoggio su cui stanno, facendo ipotizzare per gli ultimi due un gradino invisibile o una soprannaturale levitazione. Tra gli angeli spicca soprattutto il volto di quello in basso a destra, con le ali finemente sfumate come si riscontra anche negli angeli tra le logge della basilica superiore. Ha un volto enigmaticamente atteggiato, quasi accennante un sorriso, percorso da profonde ombre che danno rotondità.
Il San Francesco è simile a quello ritratto in una tavola conservata nel Museo di Santa Maria degli Angeli. Si tratta di una delle più antiche rappresentazioni del santo, anche se le ridipintura successiva impedisce di trarne conclusioni sulla reale fisionomia. È scalzo, indossa il saio, e ha un aspetto giovanile, con una corta barba e con la chierica. Fissando il fedele, mostra con evidenza i segni delle stimmate sulle mani e sui piedi, nonché sul costato grazie a uno squarcio all’altezza del petto. Egli aveva originariamente orecchie molto grandi, attenuate dalle ridipinture successive, a cui si devono anche i numerosi ritocchi scuri. Al petto tiene un libro.
I due gruppi figurativi si esaltano pacatamente nel contrasto della loro diversità: così elegante e fastosa la Maestà, così sobrio e remissivo il santo. Tutta la composizione poggia su un prato verde, oggi assai annerito per l’ossidazione del colore.
Le aureole non sono in rilievo e raggiate, come quelle più innovative presenti nella basilica superiore ed adottate da tutti gli artisti in seguito nei cicli di affreschi.
La scena della Vergine seduta sul trono celeste insieme a Gesù Cristo della basilica superiore riporta una raffigurazione frontale del trono, con entrambi i fianchi aperti come le pagine di un libro. Una tale rappresentazione del trono sarà usata da Cimabue solo nella tarda Madonna di Santa Trinita (1290–1300circa) e dagli allievi come Duccio di Buoninsegna dopo il 1290, mentre la Maestà del Louvre (1280 circa) e la Madonna di Bologna (1281–1285 circa) riportano un trono in tralice.
Questi i principali indizi che permettono di post-datare la Maestà rispetto alle opere del 1280 circa[1]:
La narice nelle teste piegate a “tre quarti” non è più un semplice ispessimento del bordo del naso come nelle opere di Cimabue del 1280. Tutti gli affreschi assisiati, compresa la Maestà in questione, riportano una sorta di incisione entro il naso, come nella Madonna di Santa Trinita e nel mosaico absidale del duomo pisano, che sono le opere più tarde a noi giunte di Cimabue.
Il volto della Vergine e degli angeli hanno perso la seriosità della Maestà del Louvre ed appaiono più distesi e sereni, quasi sorridenti, come nella Maestà di Santa Trinita.
Gli angeli sono alternativamente rappresentati con i volti a destra e sinistra, una rappresentazione che ricorda la Maestà di Santa Trinita, ma non quella del Louvre.
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
graphic reconstruction
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
graphic reconstruction
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
Satyr and maenad.
User:Jastrow
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
User:Mentnafunangann — Opera propria
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
User:Mentnafunangann — Opera propria
Giacobbe Giusti, POMPEII: home of Lucio Cecilio Giocondo
User:Mentnafunangann — Opera propria
The house of Lucio Cecilio Giocondo is a house from the Roman period, buried during the eruption of Vesuvius in 79 and found following the archaeological excavations of ancient Pompeii.
The house was built between the end of the 3rd and the beginning of the 2nd century BC [1] and it underwent small reconstructions over the years: it was damaged during the earthquake of Pompei of 62, it was restored by the then owner, the banker Lucio Cecilio Giocondo, from whom it takes its name; buried under a blanket of ashes and lapilli following the eruption of Vesuvius in 79, it was found thanks to the Bourbon excavations in 1844 and explored again in 1875 [2]. During the course of the Second World War it was slightly damaged by American bombardments: at the end of the conflict it was in fact necessary to reposition the roof tiles, rearrange the columns of the peristyle and clean the pavement from the fall of some rubble [3].
The House of Lucio Cecilio Giocondo is entirely made of Sarno limestone loom, with the use of tuff in the decorative parts [1]: the great ability of the owner, Lucio Cecilio Giocondo, to know how to do his job, namely that of banker, he led to a large amount of earnings and this is noted in the great pomp of his house [4]. The entrance faces directly on Via del Vesuvio and two large pillars, on which at the time of the excavation several electoral inscriptions were found [2]: on the sides of the entrance there are two shops. Once past the vestibule in which a floor mosaic depicting a dog is preserved, one enters the atrium, with a central impluvium surrounded by a mosaic of geometric figures, while in the rest of the room the flooring is in cocciopesto with colored marble inserts [2]; in the north-west corner there is a lararium decorated in marble: in particular the upper part of the base was characterized by two bas-reliefs that represented the damages caused by the earthquake of 62 [1], that is the collapse of Porta Vesuvio, gone stolen, and the damage to the Temple of Jupiter [4], preserved in the National Archaeological Museum of Naples; these works were most probably performed as a sign of expiation for the irate gods or, a less credited hypothesis, these bas-reliefs were executed as a sign of thanks to the gods who, by causing the earthquake, had allowed the enrichment of Cecilio Giocondo, who had speculated on the misfortunes of others [5]. Around the atrium there are several cubicles, in some of which both the floor with mosaic designs and wall decorations are preserved, although some depictions have in part been lost such as the painting by Ulysses and Penelope and a theatrical scene [ 6].
On the atrium there is a tablinum, of considerable size, perhaps used by the owner to practice his profession [7]: on the sides of the entrance jambs there are two columns on which two herms were placed, in particular the one on the left supported bronze head depicting the uncle or father [8] of Cecilio Giocondo [9], a gift from the freedman Felix, as attested by the inscription engraved on the pillar:
On the right one, instead, a gold head was placed, which was destroyed during the explorations [2]. The tablinum preserves the mosaic pavement with a geometric design in the center, while the walls are frescoes in the third style [11] which were originally vermilion colored, resting on an ocher background, of which today only the latter color remains [9] : on both sides the decorative panels are divided into three compartments, similar to carpets, decorated with plant elements; the right wall had squares in the center of each compartment depicting a Satyr embracing a Maenad, Iphigenia in Tauris and a Maenad with Cupid, all detached and preserved in the archaeological museum of Naples [12], while on the left side they are still on site ‘fresco of a Satyr with a Maenad, an uncertain representation, probably representing the return of Hector corpse and again a Satyr with a Maenad [12].
Once past the tablinum, one enters the peristyle, which has preserved the colonnade intact, a fountain with a marble basin, several graffiti and an erotic fresco [13] and one of a large animal [14]: in the center of this environment is the garden, while around it there are various environments such as the triclinium with remains of the wall decorations: in particular, medallions with faces of women are visible, a large picture, ruined by time, depicting Paris between three goddesses, and Theseus who abandons Arianna, in this case detached from its original location [13]; these panels also have a central part in ocher yellow and a plinth in red. Other environments retain scanty remains of the plaster and worthy of note is the exedra with niche used as a lararium and a marble table [14]: near this room, due to the collapse during the eruption of the upper floor was found, between on 3 and 5 July 1875 [3], a small chest containing one hundred and fifty-four wax tablets, bearing the sum of the rents collected and the fees paid for the purchase of property [1]: the dating of these documents goes from 52 to 62 , after which it is thought that the banker retired to private life devoting himself to religious works [10]. A staircase led to an underground cellar, where frescoes with drawings of natural elements can be recognized [15].
La sculpture de la porte du Duomo à Milan réalisée par Giannino Castiglioni à Lierna Lake Como, avec les histoires de Sant’Ambrogio.
Historique
À l’intérieur du Duomo une pierre qui commémore le commencement de sa construction en 1386.
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Intérieur de la basilique (impression datant du xixe siècle).
À l’endroit où se dresse aujourd’hui le Duomo, se dressait autrefois la cathédrale Santa Maria Maggiore construite au ve siècle, où fut baptisé Augustin d’Hippone (saint Augustin) et la basilique Santa Tecla. Elles furent détruites en partie par un incendie en 1075. Après l’effondrement du campanile, l’archevêque Antonio de’ Saluzzi, soutenu par la population, prévoit la construction d’une nouvelle et plus grande cathédrale (en 1386), à l’endroit même du plus antique cœur religieux de la ville1. Les travaux démarrent tout d’abord par la destruction, dans un premier temps, de la cathédrale Santa Maggiore, puis dans un second temps de la basilique Santa Tecla entre 1461 et 1462 (en 1489 cette dernière sera partiellement reconstruite puis définitivement démolie en 1548)2.
D’après des vestiges archéologiques trouvés lors d’une fouille dans la sacristie, il semble que le nouvel édifice devait à l’origine être construit en briquesselon les techniques de l’art gothique lombard. En janvier 1387commence l’œuvre colossale de couler les fondations des piliers. Durant l’année 1387 les travaux de forage des fondations continuent et les piliers sont mis en place. Tout ce qui a été fait avant 1386 est détruit ou presque. Au cours de l’année, le seigneur de la ville, Jean Galéas Visconti, prend le contrôle des travaux et opte pour un projet encore plus ambitieux3. Le choix du matériau se porte alors sur le marbre de Candoglia, et les formes architecturales deviennent celles du gothique international. Le désir de Jean Galéas Visconti est, en suivant les tendances européennes de l’époque, de donner à la ville un majestueux édifice et de symboliser par là les ambitions de son État, ce qui dans ses plans devait devenir le centre d’une monarchie nationale italienne, comme c’était le cas en France ou en Angleterre et ainsi devenir l’une des plus grandes puissances du continent européen. Jean Galéas Visconti met à disposition des carrières et accorde d’importantes subventions et exonérations fiscales : chaque bloc destiné au Duomo est marqué AUF(Ad Usum Fabricae) et les taxes de passages sont supprimées : il en est resté depuis, l’expression « a ufo » qui signifie gratuit4.
Comme en témoigne la richesse des archives, le premier ingénieur en chef est Simone d’Orsenigo ; il s’entoure d’autres maîtres lombards et ils commencent dès 1388 les murs de périmètre. Entre 1389 et 1390 le Français Nicolas de Bonaventure est chargé de concevoir les fenêtres2.
Pour diriger le chantier sont appelés architectes français et allemands, comme Jean Mignot, Jacques Coene ou Enrico di Gmünd. Mais ils rencontrent de l’hostilité de la part des maîtres lombards accoutumés à d’autres méthodes de travail ; ils restent donc très peu de temps en place. L’édifice se construit sous un climat de tension, dû également aux nombreuses modifications, qui donneront tout de même une œuvre complètement originale tant dans le paysage italien qu’européen3.
Initialement les fondations sont coulées pour un édifice à trois nefsavec des chapelles latérales carrées dont les murs peuvent servir de contreforts. Puis il est décidé de ne plus faire de chapelles, portant le nombre de nefs à cinq ; le est décrété l’élargissement des quatre piliers. En septembre 1391, le mathématicien Gabriele Stornaloco est consulté afin de décider de la hauteur de l’édifice, qui se présente sous deux options : ad triangulumou ad quadratum. Le , le choix de la forme des nefs est décidé, elles seront légèrement décroissantes avec une hauteur maximum de 76 brasses2.
En 1393 les premiers chapiteauxdes piliers sont sculptés d’après les dessins de Giovannino de’ Grassi, qui sera jusqu’à sa mort en 1398ingénieur en chef. En 1400, Filippino degli Organi lui succède et supervise la réalisation des fenêtres de l’abside. À partir de 1407 et jusqu’en 1448 il est responsable en chef de la construction de l’édifice et porte à son terme l’abside2. En 1418est consacré le maître-autel par le pape Martin V2.
De 1452 à 1481, Giovanni Solari est chef de chantier durant les deux premières années; il est aussi proche du Filarète. Suivent ensuite en tant qu’architecte en chef Guiniforte Solari (fils de Giovanni Solari) et Giovanni Antonio Amadeo(gendre de Giovanni Solari), avec Gian Giacomo Dolcebuono ils construisent en 1490 la tour-lanterne. À la mort d’Amadeo en (1522), ses successeurs font différentes propositions de style gothique, entre autres celle de Vincenzo Seregni qui propose de rapprocher la façade des deux tours (en 1537 environ), cette proposition ne sera jamais réalisée2.
En 1567, l’archevêque Charles Borromée impose une vive reprise des travaux, il met à la tête de cette entreprise Pellegrino Tibaldi qui redessine le presbytère, en 1572, bien que la construction ne soit pas terminée, Charles Borromée consacre l’église2.
La question de la façade
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Il Duomo en 1745 environ.
En ce qui concerne la façade Pellegrino Tibaldi dessine un projet en 1580, celui-ci est basé sur un soubassement à deux étages animés par de gigantesques colonnes corinthiennes et une niche dans la nef centrale accolée par des obélisques. La mort de Charles Borromée en 1584 signifie la scission avec son projet; en effet le chantier est repris en main par son rival Martino Bassi qui envoie une toute nouvelle vision de la façade au pape Grégoire XIV2.
Entre 1765 et 1769Francesco Croce achève la tour-lanterne et la flèche majeure, sur laquelle cinq ans après est élevée la « Madonina » en cuivre dorée5, destinée à devenir le symbole de la ville de Milan. Le plan de la façade de Buzzi est repris par Luigi Cagnola, Carlo Felice Soave et Leopoldo Polack. Ce dernier commence la construction du balcon et de la fenêtre centrale.
En 1805 sur la demande insistante de Napoléon Ier, Giuseppe Zanoiaprend en charge le déroulement des travaux afin de terminer la façade en vue du couronnement de Napoléon 1er comme roi d’Italie. Mais Carlo Amati achève le projet en 1813seulement2. Parmi tous les sculpteurs qui ont travaillé sur l’édifice durant le début du xixe siècle, l’un des plus reconnus est Luigi Acquisti.
Manutention et restauration
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Dommages dus aux bombardements.
En 1858 le campanile, qui se trouvait sur la nef, est détruit et les cloches sont transférées dans la tour-lanterne entre les doubles voûtes. Durant tout le xixe siècle et jusqu’en 1892, les flèches et les décorations architecturales sont achevées2. Durant tout ce siècle se succèdent différents travaux de rénovations : voûtes remplacées et éléments d’architectures abîmés par le temps.
Durant la Seconde Guerre mondialela « Madonina » est recouverte de haillons afin d’éviter que les reflets de lumière sur sa surface dorée puissent être utilisés comme point de référence par les bombardiers alliés survolant la ville ; de plus les vitraux sont préventivement supprimés et remplacés par des rouleaux de toiles. Bien que n’étant pas la cible principale des bombes le Duomo subit des dommages collatéraux durant les bombardements aériens, le porche central en bronze présente encore quelques « plaies » dues aux bombes qui ont explosé à proximité. Durant l’après-guerre, faisant suite à tous ces dégâts, le Duomo est restauré en grande partie, les portes en bois sont remplacées par des portes en bronze qui sont des œuvres des sculpteurs Arrigo Minerbi, Giannino Castiglioni et Luciano Minguzzi.
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
La cathédrale en 1962, avant la restauration
Dans les années 1960, la pollution atmosphérique, l’abaissement de la nappe phréatique, les vibrations du trafic, sa proximité avec la ligne de métro, associés à la dégradation naturelle des matériaux et les erreurs dans la construction d’origine, ont sérieusement ébranlé la stabilité des quatre piliers qui soutiennent la tour-lanterne. En 1969 la place est fermée à la circulation et le trafic du métro est ralenti, puis en 1981 démarre la restauration des piliers et celle-ci se conclut en 1986 (date anniversaire de sa construction commencée six cents ans auparavant)2.
Aujourd’hui l’entretien de la cathédrale est confié à la Veneranda fabbrica del Duomo, de tous ces travaux d’entretien est née une expression en dialecte milanais Longh comm la fabbrica del Domm, pour désigner quelque chose d’interminable6.
Contexte urbain
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Le Duomo avec en 1er plan la Cassina, ou l’ensemble des bâtiments de la fabrique du Duomo et les ateliers du chantier, gravure 1832.
Autrefois le Duomo était au cœur du tissu urbain médiéval, comme les cathédrales françaises ou allemandes. Ce colossal édifice créait un panorama improbable et majestueux, en effet il semblait une montagne de marbre au milieu des petits bâtiments en brique. Des photos datant du milieu du xixe siècle témoignent encore aujourd’hui de l’aspect de cette zone à cette époque. Avec l’ouverture de la place par Giuseppe Mengonientre 1865 et 1873, la façade du Duomo pouvait devenir un arrière-plan panoramique grandiose, comme ne manqueront pas de le faire noter les nombreuses polémiques7.
Le côté gauche est visible pratiquement uniquement en oblique, en raison de la proximité des immeubles environnants, tandis que l’entrée de la rue Vittorio Emanuele II permet l’observation de l’organisation de l’abside, du transept et de la tour-lanterne ainsi que la flèche comprenant la Madonnina. D’autres vues intéressantes sont visibles à partir de la place de la Fontana, du square Verziere, de la petite place du Palais Royal, ou de la terrasse du 1er étage du Palazzo della Ragione2.
Architecture
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Plan du Duomo de Milan et de ses voûtes.
Le style du Duomo est le fruit de tous les travaux des siècles passés, il ne répond à aucun mouvement précis, mais suit plutôt une idée « gothique » colossale et fantasmagorique toujours réinterprétée. Malgré cela et malgré les contradictions dans le style architectural, le Duomo est un édifice unitaire. Le concept aussi d’« authenticité gothique » est visible sur une grande partie de la structure datant de la période style néogothique, pour ne pas parler des fréquentes substitutions, qui sont en réalité une déformation de l’essence même du monument qui est donc considéré comme une architecture toujours en reconstruction continue et nécessaire2.
Le Duomo a un plan en croix latine, composé de cinq nefs et trois transepts, avec un profond presbytère entouré par un déambulatoire ayant une absidepolygonale. À la croisée du transept se lève, comme de coutume, la tour-lanterne. L’ensemble a un remarquable élancement vertical, caractéristique plus française qu’italienne mais ceci est en partie atténué par l’étirement en horizontal de l’espace et par l’écrasante différence de hauteur entre les nefs, typique du style gothique lombard3.
La structure portante est composée de piliers et de murs périmètres renforcés par des contreforts situés à la même hauteur que les piliers. Ceci est une caractéristique qui différencie le Duomo milanais des cathédrales françaises, limitant par rapport à l’architecture gothiquetraditionnelle, l’ouverture des vitraux (longs et étroits) et donnant à l’ensemble (à l’exception de l’abside) une forme prédominante fermée, où le mur est avant tout un élément de forte démarcation, souligné en plus par la hauteur du socle de tradition lombarde3. Il est aussi évident que la flèche et les pinacles n’ont aucune fonction portante, puisqu’ils ont été rajoutés de façon sporadique au cours des siècles3.
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Contreforts, arcs rampants et pinacles.
Les contreforts ont une forme triangulaire et servent à contenir la poussée latérale des arcs. Le soubassement est en pierre ainsi que les murs intérieurs, les piliers ont un noyau en gneiss et les voilesdes voûtes sont en brique. Le parement apparent n’a pas seulement un rôle d’ornement mais aussi une fonction portante, il est en marbre de Candoglia blanc rosé avec des veines grises : la carrière, jusqu’à la fin de l’époque de Gian Galeazzo Visconti, est encore propriété de la Fabbrica del Duomo2.
Les murs externes sont animés par une masse dense de semi-pilastrescouronnés en hauteur, au-dessous des terrasses se trouve une broderie d’arcs polylobés surmonté par des flèches. Les vitraux à arc pénétrant sont assez resserrés en effet ont-elles aussi un rôle portant.
La couverture de la terrasse (elle aussi en marbre) est un unicuumdans l’architecture gothique elle est soutenue par un double croisement de voûtes mineures. En concordance des piliers se lève une « forêt » de pinacles reliés entre eux par des arcs-boutants. Dans cette configuration les pinacles n’ont aucune fonction de structure puisqu’ils ont pratiquement tous été rajoutés durant la moitié du xixe siècle. Dans la gravure de Bernardo Zenale datant de 1519(qui se trouve au Musée du Duomo) ainsi que dans d’anciens dessins, un arêtier centrale devait mettre en évidence la forme triangulaire mais il est exclu dans le projet de 18362.
Architecture externe
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
La zone absidale.
La partie de l’abside est la première à être terminée, elle est découpée par des fenêtres, où apparaît le tableau de Jean Galéas Visconti. Les statues, les contreforts, les lanceurs et les flèches sont, en général, de l’époque de son successeur : Philippe Marie Visconti. La 400e flèche « Carelli » est la première à être construite2.
À partir de l’abside, qui date du xive siècle, les côtés sont progressivement rapprochés de la façade, ceci jusqu’à la fin du xviie siècle, les contreforts externes sont couronnés par des flèches et liés à la base par des plinthes horizontales. En hauteur se trouve une corniche ayant des arcs polylobés sur chapiteaux avec des figures anthropomorphes et zoomorphes. Entre les contreforts, en hauteur, se trouvent les vitraux qui illuminent les nefs2.
L’abside est polygonale et entourée par les deux sacristies qui sont couronnées par des flèches plus antiques. Pour illuminer l’abside, il y a deux énormes vitraux ayant des croisées d’ogives en marbre. Ils désignent dans ces dernières, les rosaces de Filippo degli Organi (fin du xve siècle). Le vitrail central est dédié à l’incarnation du Christ2.
Architecture interne
L’intérieur est à cinq nefs et trois transepts. Le presbytère est profond et encerclé par un déambulatoire à côté duquel s’ouvrent les deux sacristies. La nef centrale est deux fois plus large que les nefs latérales, celles-ci sont légèrement décroissantes en hauteur ce qui permet l’ouverture de petits vitraux à arcs-boutants au-dessus les arches des voûtes illuminent l’intérieur de manière douce et diffuse2.
Les chapiteaux monumentaux à niches et flèches avec statues sont beaucoup plus originaux, ils décorent les piliers le long de la nef centrale, le transept et l’abside. Certains chapiteaux ont un double registre, avec des statues de saint dans les niches, surmontés par des statues de prophètes dans les flèches. Les autres piliers sont décorés de motifs végétaux.
Le pavage du sol est commencé à partir des dessins de Pellegrino Tibaldi en 1584 et terminé seulement entre 1914 et 1940. C’est un mélange complexe de marbre clair et foncé : le noir vient de Varenna, le blanc et le rose de Candoglia, le rouge venait à l’origine de Arzo mais il a été complètement échangé pour le marbre de Vérone. Pellegrino Tibaldi a, sur la demande du cardinal Borromée, défini aussi les autels latéraux, les mausolées, le chœur et le presbytère (restauré en 1986). Aujourd’hui l’aspect interne date plutôt de cette époque, liée à la Contre-Réforme. Au cours du xviie siècle, quelques monuments seront transférés dans les travées de la façade2.
Dimensions principales
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Les flèches de nuit et l’arbre de Noël sur la droite (2008).
Nombre de statues : 3 4002 dont 2 300 à l’extérieur (sans compter les demi-figures dans les embrasures des fenêtres, les 96 gargouilles et les hauts-reliefs)5
Hauteur des colonnes intérieures : 24 mètres
Diamètre des colonnes intérieures : 3,40 mètres
La façade
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Vitraux de la façade.
La façade témoigne d’elle-même la complexité du Duomo, avec ses sédimentations des siècles d’architecture et des sculptures italiennes. Ce qui se voit aujourd’hui est une solution de compromis faite à la hâte au début du xxe siècle, en effet à cette période, il a été conclu que le projet de style néogothique de Giuseppe Brentano (1886–1888) était impossible à réaliser7.
Cinq motifs font comprendre la présence de la nef et avec six contreforts (doublés à l’extrémité et entourant le portail central) surmontés par des flèches2.
Les cinq portails et les vitraux surmontant sont du xviie siècle, le balcon quant à lui est de 1790 et les trois fenêtres néogothiques sont du xixe siècle. Les soubassements des contreforts centraux sont décorés par des bas-reliefs et des atlantesdatant de la moitié du xviie siècle, les bas-reliefs sur les soubassements des contreforts sont eux des xviiie et xixe siècles. La décoration du bas-relief des portails est sculptée à l’époque de l’archevêque Boromée sur des dessins de Cerano2. Les statues des Apôtres et des Prophètes sur les corbeaux datent toutes du xviiie siècle.
Les portes en bronze sont du xxe siècle. Partant de la Renaissance de Pellegrini au baroque de Francesco Maria Ricchino et au néogothique napoléonien de Acquisti. En 1886 la Grande Fabbrica met en place un concours international pour la façade de style gothique du Duomoet en octobre 1888, le jury choisit comme vainqueur Giuseppe Brentano, un jeune élève de Boito.
Décoration
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Façade nord
La caractéristique particulière du Duomo de Milan, en plus de son compromis entre la verticalité de la forme gothique et l’horizontalité de la tradition lombarde, est l’extraordinaire abondance de sculptures3. C’est une exceptionnelle collection de statues allant du xive siècle au xxe siècle et sculptées par de grands maîtres : maestri campionesi (Giovannino dei Grassi), puis avec un style plus doux et cosmopolite des maîtres bohèmes (Michelino da Besozzo), puis sculptures de la Renaissance, baroque, néoclassique pour finir sur des œuvres Art déco des années 1920 et 30 du xxe siècle2.
L’autre grand cycle décoratif concerne les vitraux mais pour ce qui touche aux plus anciens, ils ont tous pratiquement été détruits puis changés au fur et mesure (surtout au cours du xixe siècle et xxe siècle). Survivent quelques pièces de verresdu xive siècle insérées dans les vitraux plus tardivement, puis quelques vitraux de la seconde moitié du xve siècle et xvie siècledessinés par des artistes tel que Vincenzo Foppa et Cristoforo de’ Mottis3.
Décoration de la façade
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Portail central, La Création de Eve
Décoration des pilastres du portail central
Sur la façade les reliefs illustrent (en partant de la base externe gauche) :
L’ornement du portail de gauche est décoré par des reliefs représentant Esther et Assuérus (dessins de Cerano). Quant au portail illustrant l’Édit de Milan c’est une œuvre de Arrigo Minerbi (1948).
L’ornement du portail montre Sisara et Yaël (dessins de Cerano). Quant à la porte en bronze ses reliefs représentent la Vie d’Ambroise de Milan (dessins de Giannino Castiglioni1950).
Les pilastres du portail central sont richement décorés avec des fleurs, des fruits et des animaux, le tympanreprésente la Création d’Ève(dessins de Cerano), quant à la porte en bronze elle évoque L’histoire de la vie de Marie (dessins de Ludovico Pogliaghi)2.
Sur le quatrième soubassement, l’ornement du portail traite de Judith coupant la tête de Holopherne(dessins de Cerano). Le portail en bronze datant de 1950 est commencé par Franco Lombardi et terminé par Virginio Pessina, ses panneaux représentent L’histoire de Milan : de sa destruction par Frédéric Barberousse jusqu’à la victoire de Legnano.
L’ornement du portail représente Salomon et la reine de Saba(dessins de Gaspare Vismara). La porte en bronze évoque les épisodes de l’histoire du Duomo(dessins de Luciano Minguzzi1965)2.
Les reliefs de la sixième base (externe droite) illustrent :
Le centre de la rosace de l’abside, avec « razza » des Visconti, la Trinité et l’Annonciation
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
David tenant la tête de Goliathet Saint Jean Baptiste
Saint Martyr
Tout l’extérieur est orné d’un riche ensemble de sculptures. Sur les corbeaux des montants des fenêtres se trouvent statues et bustes, sur les contreforts les statues sont couvertes par un baldaquin en marbre (en bas) et 96 « géants » (en haut), sur lesquels se lèvent des gargouilles imposantes. Les autres statues se trouvent sur les flèches : au couronnement ou dans les niches L’ensemble de ces sculptures est une extraordinaire galerie d’art à Milan (du xive siècleau néoclassicisme) ont participé à ce projet de grands maîtres lombards, allemands, français, toscans, vénitiens et camponesi2.
Sur le sixième contrefort en hauteur, Vescovo, attribué à Angelo Marini.
Dans le transept droit, dans les ébrasements entre la dixième et la quinzième fenêtre se trouve une série de demi-figures de Saints, de la fin du xive siècle.
Sur le huitième contrefort en hauteur, Constantin de Angelo Marini et au centre une remarquable Madeleine de Andrea Fusina.
Sur la treizième fenêtre Catherine d’Alexandrie (en haut) et Saint Paul (en bas) toutes deux de l’école de Bambaia.
Sur le quinzième contrefort, en hauteur, Saint Pierre de l’école de Jacopino da Tradate, et au centre Saint Stéphane de Walter Monich.
Sur le dix-septième contrefort, sur le chevet droit, en hauteur David et Abigaïl de Biagio Vairone.
Sur le dix-neuvième contrefort, sur l’abside, au centre, Saint Jean Baptiste de Francesco Briosco (1514) et à droite Davidde Biagio Vairone.
Sur la vingt-et-unième fenêtre, en haut, les statues de Adam, Abel, Caïn et Eve.
Sur le vingt-et-unième contrefort en bas Tobit, attribué à la fin du xve siècle début du xvie siècle.
Dans le chevet gauche, sur la vingt-deuxième fenêtre, Sibylle de Cumes du xvie siècle.
Sur le vingt-deuxième contrefort, en dessous de la flèche Carelli : en haut un Prophète (xvie siècle) et au centre Salomon (1508).
Sur la vingt-troisième fenêtre en haut Adam (xive siècle et en bas Constantinxve siècle.
Sur la vingt-cinquième fenêtre, dans le transept gauche, Saint Roch (xvie siècle), Saint Galdino, Alexandre V, ce dernier étant de l’école de Jacopino da Tradate, pour finir Saint François d’Assise(1438).
Sur la vingt-sixième fenêtre quelques demi-figures de Saintsde l’école borgognona et Sainte Radegonde attribuée à Niccolò da Venezia (1399).
Sur la vingt-sixième Saint Bernard de la seconde moitié du xvie siècle.
Le portail central, à l’envers de la façade est dessiné par Fabio Mangone au début du xviie siècle, mais l’œuvre sera réalisée seulement en 1820. Le couronnement révèle les statues de Saint Ambroise (de Pompeo Marchesi) et la statue de Saint Charles (de Gaetano Monti). Sur l’attique une plaque commémore les deux consécrations de 1418 et de 1577. Les vitraux des fenêtres classiques sont du xixe siècle et celles de style néogothique sont du xxe siècle2.
La méridienne
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Extrémité de la méridienne
Près de l’entrée du Duomo se trouve la méridienne ayant le symbole du capricorne, elle est composée d’une ligne en laitonencastrée dans le sol qui traverse la nef et ressort de trois mètres sur le mur gauche (au nord). Sur le mur faisant face au sud à une hauteur de pratiquement 24 mètres du sol, se trouve un trou à travers duquel à midi, un rayon de lumière se projette sur la bande de laiton. Sur le côté de l’église il manque un arc de marbre, afin d’éviter que le trou se retrouve dans l’ombre. Sur les côtés de la bande de laiton se trouvent des plaques de marbre qui indiquent les signes du zodiaque et coïncident avec les dates de l’entrée du soleil.
L’instrument est réalisé en 1786 par les astronomes de l’Observatoire de Brera, plusieurs fois restauré puis finalement modifié en 1827 à la suite de la reconstruction du sol duDuomo2.
Dans la première travée de la nef externe droite, se trouve le sarcophage de l’archevêque Aribert d’Intimiano (mort en 1045, dominé par la copie du fameux crucifix en cuivre recouvert de feuilles d’or. Aujourd’hui, l’original se trouve dans le Musée du Duomo. Il provient du monastère de Saint-Denis2. À gauche une inscription en marbre du xviie siècle :
« El principio dil Domo di Milano fu nel anno 1386. »
Dans la seconde travée suivent les sarcophages des archevêques : Ottone Visconti et Giovanni Visconti, œuvres d’un maître campionese (xive siècle), se trouvent aussi deux colonnes en marbre rouge de Vérone qui proviennent de l’ancienne Basilique di Santa Tecla. Les vitraux racontent l’Histoire de l’ancien Testament œuvre de maîtres lombards et flamands (moitié du xvie siècle)2.
Dans la troisième travée se trouve la liste des archevêques de Milan et un vitrail représentant une autre Histoire de l’ancien Testament, œuvre de maîtres lombards, rhénans et flamands (moitié du xvie siècle)2.
Dans la quatrième travée se trouve le sarcophage de Marco Carelli : un mécène qui à la fin du xive siècle a donné 35 000 ducats à la Fabbrica del Duomo afin d’accélérer les travaux de construction, l’œuvre est dessinée par Filippino degli Organien 1406, quant aux statues, elles sont de Jacopino da Tradate2.
Dans la cinquième travée se trouve une pierre tombale ainsi que le projet de façade de Giuseppe Brentano, suivis à gauche par la tombe de Gian Andrea Vimercati, mort en 1548. Celle-ci est décorée par une Pietà et deux bustes de Bambaia (première moitié du xvie siècle). Le vitrail « foppesca » (mais qui n’est pas une œuvre de Vincenzo Foppa) représente l’Histoire du Nouveau Testament(1470–1475) il est de maîtres lombards qui se sont inspirés d’œuvres de grands peintre avec aussi une influence de l’école de Ferrare, c’est l’un des vitraux les plus beaux de la cathédrale2.
Dans la septième travée se trouve l’autel du Sacré-Cœur dessiné par Pellegrini, avec un retable en marbre d’Edoardo Rubino (placé en 1957). Le vitrail dessiné en 1958 par Jànos Hajnal, rappelle les cardinaux Schuster e Ferrari, tous deux archevêques de Milan2.
La huitième travée dévoile l’autel de Marie, toujours dessiné par Pellegrini, avec un retable en marbre de la Virgo Potens, œuvre datant certainement de 1393. Les vitraux représentent les histoires de sainte Thècle et sainte Agnès c’est un œuvre de Pompeo Guido Bertinide 1897–19052.
Tombe de Jean Visconti, 1354
Liste des archevêques de Milan
Tombe de Marco Carelli (1394)
L’autel de Marie
La nef externe gauche
Autel de saint Ambroise
Dans la première travée de la nef externe gauche se trouve la méridienne et les vitraux représentant les histoires de Davidœuvre d’Aldo Carpi (1939)2.
La seconde travée abrite le baptistère, œuvre de Pellegrini, qui est composé d’un temple à base carrée soutenu par quatre colonnes corinthiennes, avec entablement et tympans sur les quatre côtés. Au centre se trouve un font représentant un sarcophage romain en porphyre. Sur les murs se remarquent deux plaques en marbre rouge de Vérone avec pour reliefs des Apôtres, probablement une œuvre des maîtres maestri campionesi elle date de la fin du xiie siècle et provient de Santa Maria Maggiore. Le vitrail a été recomposé avec des fragments du xve siècle et illustre l’Avènement du Nouveau Testament2.
Dans la quatrième travée, il y a un intéressant vitrail symbolisant les Histoires des Quatre Saints Couronnés de Corrado de’ Mochis à partir des dessins de Pellegrino Tibaldi (1567)2.
Dans la cinquième, il y a une reproduction, datant de 1832, de la Tarchetta dell’Amadeo, les fragments originaux se trouvent aujourd’hui au Castello Sforzesco. Le vitrail de Pietro Angelo Sesini, probablement dessiné par Corrado de’ Mochis, évoque la Pentecôte, le Transit et l’Assomption (1565–1566)2.
Dans la septième travée se lève l’autel de saint Joseph œuvre encore de Pellegrino Tibaldi, avec un retable du Mariage de la Vierged’Enea Salmeggia et les statues de Aaron et David de Francesco Somaini (datées après 1830). Le vitrail avec les Histoires de saint Joseph est en partie de Valerio Perfundavalle (1576)2.
La dernière travée abrite l’autel de saint Ambroise, toujours de Pellegrino Tibaldi, avec le retable de saint Ambroise imposant la pénitence à Théodose de Federico Barocci (1603). Le vitrail évoque les Histoires de saint Ambroise de Pompeo Bertini2.
Autel de Saint-Joseph
Edicola de la Tarchetta
Tombe d’Arcimboldi
Relief des maestri campionesi
Fonts baptismaux
Bras sud du transept
Giacobbe Giusti, Dôme de Milan
Statue de saint Barthélemy écorché
Statue de saint Barthélemy écorché
Dans le transept droit se dresse un remarquable monument dédié à Gian Giacomo Medici dit « le Medeghino », c’est une œuvre de Leone Leoni datant de 1560–1563. Il se compose d’un cinquième de marbre de Carrare, avec une base où s’appuient deux colonnes toscanes en brèche rouge d’Arzo, qui soutiennent un entablement afin de créer un sanctuaire. Sous celui-ci se trouve une statue en bronze représentant le Medeghino. L’œuvre qui représente une réinterprétation du style de Michel-Ange devait être unie au sarcophage par la partie supérieure, mais qui n’a pas été faite suivant les règles établies par le Concile de Trente en matière de sépulture dans les églises. Sur les côtés se trouvent deux statues de bronze : à droite Allégorie de la paixavec bas-relief de Ticino, à gauche la Milice avec bas-relief de l’Adda. La partie supérieure est décorée par deux épigraphes dédiés à Medeghino et à son frère Gabriele. Le fronton central a un bas-relief représentant la Nativité, couronné par le blason des Médicis soutenu par deux puttos. Deux autres colonnes de marbre veinées plus hautes dominent les statues de bronze de la Prudence (à droite) et de la Fama (à gauche)2.
Le vitrail est une œuvre de Giovanni Battista Bertini (1849) et représente l’Histoire de Saint Gervais et Saint Protais2.
Intéressant l’autel adjacent du xvie siècle en marbre polychrome antique, ayant deux rangées de niches et de colonnes, il fut construit par Pie IV. Le vitrail avec l’Histoire de Jacques le Majeur est une œuvre de Corrado de’ Mochis datant de 1554–15642.
La nef de gauche quant à elle a une sortie latérale divisée en trois portes : celle du milieu mène au sous-sol de l’archevêché, faite pour Charles Borromée. Ici le vitrail représentant l’Histoire de sainte Catherine d’Alexandrie a été dessiné par Biagio Arcimboldi et Giuseppe Arcimboldo et a été réalisé par Corrado de’ Mochis(1556). L’autel de saint Martin est décoré par un retable en marbre avec la Présentation de Marie il est de Bambaia (1543), c’est aussi l’auteur des reliefs à la base des colonnes (à part celles de la niche de droite représentant sainte Catherine qui est de Cristoforo Lombardo) et des statues. L’Antependium représentant la Naissance de la Vierge est une œuvre de Antonio Tantardini (1853). Le vitrail représentant l’Histoire de saint Martin est du tardif xvie siècle il est de différents artistes, tel queMichelino da Besozzo, à qui l’on attribue aussi les Prophètes des flèches2.
En face du mausolée aux Médicis, il y a la statue la plus célèbre du Duomo : saint Barthélemy Ecorché(1562), œuvre de Marco d’Agrate, où le saint montre sa peau jetée comme une étoffe sur ses épaules2.
Suit ensuite l’autel de sainte Agnès, réalisé par Martino Bassi, il est décoré par un retable en marbre et représente le Martyre de sainte Agnès réalisé celui-ci par Carlo Beretta (1754)2.
Sur le mur du fond se trouve une petite porte donnant accès aux principaux escaliers et aux terrasses (par ascenseur), auparavant celle-ci était réservée aux personnages plus illustres. Le vitrail représentant l’Histoire de saint Charles est de 19102.
Devant la chapelle se trouvent les tombes de différents archevêques dont Federico Borromeo il y a aussi le chandelier Trivulce, une œuvre majestueuse en bronze donnée par l’archiprêtre G. A. Trivulce en 1562 : C’est un chef-d’œuvre de la sculpture gothique, réalisé en majeure partie durant le xiie siècle et attribué à Nicolas de Verdun ou à des artistes rhénans opérant à cheval entre le xive siècle et le xve siècle. Le pied s’appuie sur des animaux chimériques et tout le long du corps est couronné par des vrilles et spirales qui encadrent des Scènes de l’Ancien Testament, Arts libéraux, Fleuves et Adoration des Mages2.
Dans la nef de gauche se trouve l’autel dédié à sainte Catherine, l’unique autel gothique de la cathédrale qui soit en grande partie authentique. Il est décoré par des statues de saint Jérôme et de saint Augustin attribuées à Cristoforo Solari (début du xvie siècle), les statuettes sont elles du xive siècle et sont attribuables à Giovannino de’ Grassi2.
Au centre de l’église s’ouvre la tour-lanterne de Giovanni Antonio Amadeo, haute de 68 mètres et ayant une base de forme octogonale, soutenue par quatre arcs à ogives et pendentifs. La voûte elle-même est dominée par des tympans à ogive et par quatre arcs à ogive, non visibles, cachés par des arcs2.
Les fresques dans les pendentifs représentant les Docteurs de l’Églisesont des œuvres de l’école lombarde de 1560–1580 environ. Le profil des arches abrite 60 statues de Prophètes et Sibylles, elles sont en style gothique international et datent de la moitié du xve siècle, elles sont influencées par l’art de Bourgogne et rhénan qui semblent anticiper la Renaissance lombarde. Les vitraux des fenêtres sont de 1958 et représentent les évènements du Concile œcuménique Vatican II2.
Le chœur
Chaire de droite
Le chœur ou presbytérium est entouré de dix piliers et est modifié à la fin de la Renaissance, puis de nouveau en 1986 avec une réforme liturgique fonctionnelle. Aujourd’hui il part de la coupole pour finir sur la nef centrale. Charles Borromée fait aligner les chaires et fait réaliser d’autres modifications; l’œuvre est de Pellegrino Tibaldi qui respecte les dictes du concile de Trente. Aujourd’hui le presbytérium est divisé en deux parties et permet diverses fonctions2.
Le presbytérium donne accès à un escalier semi-circulaire et occupe une grande partie de la nef centrale et du vieux chœur (où se réunissaient les juridictions civiles et celles de confréries), il a différents plans repavés récemment sur une décoration de Pellegrino Tibaldi. Sur le point le plus élevé se trouve l’autel majeur provenant de la basilique de Santa Maggiore, consacré par Martin V en 1418, qui marque l’ouverture officielle de la nouvelle cathédrale. La position surélevée actuelle a été décidée par Charles Borromée. Au centre de l’autel se trouvent des reliefs sur les plaques internes qui le composent, qui faisaient partie d’un sarcophage romain-païen du iiie siècle et réutilisées comme sépulture par un martyr chrétien, comme le témoigne une croix sur le fond et un parchemin. La cathèdre et l’ambonsont de 1985 et sont accompagnés de deux chaires du xvie siècle, projetés par Pellegrino Tibaldi. Le côté présent des reliefs de l’Ancien Testament et quatre cariatides avec les Docteurs de l’Église, le côté droit est dédié au Nouveau Testament et des sculptures en bronze représentent des Évangélistes, avec ramures en bronze, dorées et argentées œuvre de Giovanni Andrea Pellizzone et les bronzes de Francesco Brambilla il Giovane(1585–1599)2.
Entre les deux piliers se trouvent les grandes orgues. Derrière s’ouvre le chœur des chanoines (1986) avec le Temple (ciborium) de Pellegrino Tibaldi, puis le tabernacle cylindrique à tours, donné en 1591par Pie IV. Le ciborium détermine aussi la limite avec la chapelle et l’autre section du presbytérium. Il s’agit d’un espace séparant et recueillant réalisé en 1986 dans l’ancien presbytérium et dans le chœur, où les fidèles peuvent être accueillis durant la liturgie de la semaine2.
Le chœur délimite cette zone et est composé d’une double rangée de stalles sculptées par Giacomo, Giampaolo et Giovanni Taurini, Paolo de’ Gazzi et Virgilio de’ Contià partir des dessins de Pellegrino Tibaldi, Aurelio Luini et Giulio Cesare Procaccini en 1567–1614. Les reliefs racontent 71 épisodes (l’Histoire de la vie de saint Ambroise et d’autres martyrs dans l’ordre supérieur, puis l’Histoire des archevêques de Milan dans celui inférieur2.
La relique du Saint Clou
Au-dessus du grand autel à environ 42 m, sous la voûte, se trouve la relique la plus précieuse du Duomo, le clou de la Vraie Croix, qui selon la tradition aurait été retrouvé par sainte Hélène et utilisé comme mors pour le cheval de Constantin Ier2.
Bien qu’il soit suspendu à cette hauteur, le saint Clou est visible de tout le Duomo grâce à une lumière rouge. Tous les 3 mai, l’archevêque de Milan le présente aux fidèles lors de la fête du Recouvrement de la Sainte Croix, puis lors de la fête de l’Exaltation de la Sainte-Croix il est porté en procession. Pour aller chercher le saint Clou l’archevêque utilise une machine de plus de 600 ans appelée Nivola (qui signifie nuage en vieil italien), c’est une sorte d’ascenseur qui est aujourd’hui mécanisé.
Il est possible de voir à Monza un autre clou qui se trouve sur la Couronne de fer, à Rome dans la basilique Sainte-Croix-de-Jérusalemun autre clou incomplet est présenté dans la chapelle des reliques. Le dernier clou pourrait se trouver dans la cathédrale du Colle Val d’Elsa en Province de Sienne mais cette hypothèse est moins sûre2.
Les cloches
La grosse cloche (La bémol 2) dédiée à la Sainte Vierge, a été fondue par Giovanni Battista Busca en 1582 et bénite par Charles Borromée, elle a un diamètre de 212 cm.
La cloche moyenne (Si 2), dédiée à Saint Ambroise, a été réalisée par Dionisio Busca, elle a un diamètre de 176 cm.
La petite cloche (Mi bémol 3) dédiée à Saint Barnabé, elle a été fondue par Gerolamo Busca en 1515 et elle a un diamètre de 128 cm.
Il existe une quatrième cloche dédiée à Sainte Thècle fondue en 1553 par Antonio Busca. Elle est située sur la terrasse de la tour-lanterne derrière une flèche.
Les trois premières cloches sont placées dans la cavité de la lanterne entre la voûte interne et les murs extérieurs. Elles ne sont pas visibles depuis l’extérieur. À l’origine, ces cloches étaient sonnées « à la volée », aujourd’hui à cause de différents problèmes, elles sont fixes et sonnent grâce aux mouvements du battant.
↑ abcdef et gDe Vecchi-Cerchiari, cit., p. 20. Erreur de référence : Balise <ref>non valide ; le nom « Vecchi_20 » est défini plusieurs fois avec des contenus différents
↑AA.VV., Lombardia, Edizioni Touring Club Italiano, Milano 2001.
Petrarch’s Virgil (title page) (c. 1336) Illuminated manuscript by Simone Martini, 29 x 20 cm Biblioteca Ambrosiana, Milan.
Giacobbe Giusti, Petrarch
The Triumph of Death, or The 3 Fates. Flemish tapestry (probably Brussels, ca. 1510–1520). Victoria and Albert Museum, London. The three Fates, Clotho, Lachesis and Atropos, who spin, draw out and cut the thread of life, represent Death in this tapestry, as they triumph over the fallen body of Chastity. This is the third subject in Petrarch’s poem « The Great Triumphs ». First, Love triumphs; then Love is overcome by Chastity, Chastity by Death, Death by Fame, Fame by Time and Time by Eternity
Petrarch’s sonnets were admired and imitated throughout Europe during the Renaissance and became a model for lyrical poetry. He is also known for being the first to develop the concept of the « Dark Ages. »[3]
Biography
Youth and early career
Petrarch was born in the Tuscan city of Arezzo in 1304. He was the son of Ser Petracco and his wife Eletta Canigiani. His given name was Francesco Petracco. The name was Latinized to Petrarca. Petrarch’s younger brother was born in Incisa in Val d’Arno in 1307. Dante was a friend of his father.[4]
Petrarch spent his early childhood in the village of Incisa, near Florence. He spent much of his early life at Avignon and nearby Carpentras, where his family moved to follow Pope Clement V who moved there in 1309 to begin the Avignon Papacy. He studied law at the University of Montpellier (1316–20) and Bologna (1320–23) with a lifelong friend and schoolmate called Guido Sette. Because his father was in the profession of law, he insisted that Petrarch and his brother study law also. Petrarch however, was primarily interested in writing and Latin literature and considered these seven years wasted. Additionally, he proclaimed that through legal manipulation his guardians robbed him of his small property inheritance in Florence, which only reinforced his dislike for the legal system. He protested, « I couldn’t face making a merchandise of my mind, » as he viewed the legal system as the art of selling justice.[4]
Petrarch was a prolific letter writer and counted Boccaccio among his notable friends to whom he wrote often. After the death of their parents, Petrarch and his brother Gherardo went back to Avignon in 1326, where he worked in numerous clerical offices. This work gave him much time to devote to his writing. With his first large-scale work, Africa, an epic in Latin about the great Roman general Scipio Africanus, Petrarch emerged as a European celebrity. On April 8, 1341, he became the second [5]poet laureate since antiquity and was crowned by Roman SenatoriGiordano Orsini and Orso dell’Anguillara on the holy grounds of Rome’s Capitol.[6][7][8]
He traveled widely in Europe, served as an ambassador, and has been called « the first tourist« [9] because he traveled just for pleasure,[10] and the reason he climbed Mont Ventoux.[11] During his travels, he collected crumbling Latin manuscripts and was a prime mover in the recovery of knowledge from writers of Rome and Greece. He encouraged and advised Leontius Pilatus‘s translation of Homerfrom a manuscript purchased by Boccaccio, although he was severely critical of the result. Petrarch had acquired a copy, which he did not entrust to Leontius,[12] but he knew no Greek; Homer, Petrarch said, « was dumb to him, while he was deaf to Homer ».[13] In 1345 he personally discovered a collection of Cicero‘s letters not previously known to have existed, the collection Epistulae ad Atticum, in the Chapter Library (Biblioteca Capitolare) of Verona Cathedral.[14]
Disdaining what he believed to be the ignorance of the centuries preceding the era in which he lived, Petrarch is credited or charged with creating the concept of a historical « Dark Ages« .[3]
Petrarch recounts that on April 26, 1336, with his brother and two servants, he climbed to the top of Mont Ventoux (1,912 meters (6,273 ft), a feat which he undertook for recreation rather than necessity.[15] The exploit is described in a celebrated letter addressed to his friend and confessor, the monk Dionigi di Borgo San Sepolcro, composed some time after the fact. In it, Petrarch claimed to have been inspired by Philip V of Macedon‘s ascent of Mount Haemo and that an aged peasant had told him that nobody had ascended Ventoux before or after himself, 50 years before, and warned him against attempting to do so. The nineteenth-century Swiss historian Jacob Burckhardt noted that Jean Buridan had climbed the same mountain a few years before, and ascents accomplished during the Middle Ages have been recorded, including that of Anno II, Archbishop of Cologne.[16][17]
Scholars[18] note that Petrarch’s letter[19][20] to Dionigi displays a strikingly « modern » attitude of aesthetic gratification in the grandeur of the scenery and is still often cited in books and journals devoted to the sport of mountaineering. In Petrarch, this attitude is coupled with an aspiration for a virtuous Christian life, and on reaching the summit, he took from his pocket a volume by his beloved mentor, Saint Augustine, that he always carried with him.[21]
For pleasure alone he climbed Mont Ventoux, which rises to more than six thousand feet, beyond Vaucluse. It was no great feat, of course; but he was the first recorded Alpinist of modern times, the first to climb a mountain merely for the delight of looking from its top. (Or almost the first; for in a high pasture he met an old shepherd, who said that fifty years before he had attained the summit, and had got nothing from it save toil and repentance and torn clothing.) Petrarch was dazed and stirred by the view of the Alps, the mountains around Lyons, the Rhone, the Bay of Marseilles. He took Augustine‘s Confessions from his pocket and reflected that his climb was merely an allegory of aspiration toward a better life.[22]
As the book fell open, Petrarch’s eyes were immediately drawn to the following words:
And men go about to wonder at the heights of the mountains, and the mighty waves of the sea, and the wide sweep of rivers, and the circuit of the ocean, and the revolution of the stars, but themselves they consider not.[19]
Petrarch’s response was to turn from the outer world of nature to the inner world of « soul »:
I closed the book, angry with myself that I should still be admiring earthly things who might long ago have learned from even the pagan philosophers that nothing is wonderful but the soul, which, when great itself, finds nothing great outside itself. Then, in truth, I was satisfied that I had seen enough of the mountain; I turned my inward eye upon myself, and from that time not a syllable fell from my lips until we reached the bottom again. […] [W]e look about us for what is to be found only within. […] How many times, think you, did I turn back that day, to glance at the summit of the mountain which seemed scarcely a cubit high compared with the range of human contemplation […][19]
James Hillman argues that this rediscovery of the inner world is the real significance of the Ventoux event.[23] The Renaissance begins not with the ascent of Mont Ventoux but with the subsequent descent—the « return […] to the valley of soul », as Hillman puts it. Arguing against such a singular and hyperbolic periodization, Paul James suggests a different reading:
In the alternative argument that I want to make, these emotional responses, marked by the changing senses of space and time in Petrarch’s writing, suggest a person caught in unsettled tension between two different but contemporaneous ontological formations: the traditional and the modern.[24]
Later years
Petrarch spent the later part of his life journeying through northern Italy as an international scholar and poet-diplomat. His career in the Churchdid not allow him to marry, but he is believed to have fathered two children by a woman or women unknown to posterity. A son, Giovanni, was born in 1337, and a daughter, Francesca, was born in 1343. Both he later legitimized.[25]
Petrarch’s Arquà house near Padua where he retired to spend his last years
Giovanni died of the plague in 1361. In the same year Petrarch was named canon in Monselice near Padua. Francesca married Francescuolo da Brossano (who was later named executor of Petrarch’s will) that same year. In 1362, shortly after the birth of a daughter, Eletta (the same name as Petrarch’s mother), they joined Petrarch in Venice to flee the plague then ravaging parts of Europe. A second grandchild, Francesco, was born in 1366, but died before his second birthday. Francesca and her family lived with Petrarch in Venice for five years from 1362 to 1367 at Palazzo Molina; although Petrarch continued to travel in those years. Between 1361 and 1369 the younger Boccaccio paid the older Petrarch two visits. The first was in Venice, the second was in Padua.
About 1368 Petrarch and his daughter Francesca (with her family) moved to the small town of Arquà in the Euganean Hills near Padua, where he passed his remaining years in religious contemplation. He died in his house in Arquà early on July 20, 1374 – his seventieth birthday. The house hosts now a permanent exhibition of Petrarchian works and curiosities; among others you find the famous tomb of Petrarch’s beloved cat who was embalmed. On the marble slab there is a Latin inscription written by Antonio Quarenghi:
Etruscus gemino vates ardebat amore:
Maximus ignis ego; Laura secundus erat.
Quid rides? divinæ illam si gratia formæ,
Me dignam eximio fecit amante fides.
Si numeros geniumque sacris dedit illa libellis
Causa ego ne sævis muribus esca forent.
Arcebam sacro vivens a limine mures,
Ne domini exitio scripta diserta forent;
Incutio trepidis eadem defuncta pavorem,
Et viget exanimi in corpore prisca fides.[26]
Petrarch’s will (dated April 4, 1370) leaves 50 florins to Boccaccio « to buy a warm winter dressing gown »; various legacies (a horse, a silver cup, a lute, a Madonna) to his brother and his friends; his house in Vaucluse to its caretaker; for his soul, and for the poor; and the bulk of his estate to his son-in-law, Francescuolo da Brossano, who is to give half of it to « the person to whom, as he knows, I wish it to go »; presumably his daughter, Francesca, Brossano’s wife. The will mentions neither the property in Arquà nor his library; Petrarch’s libraryof notable manuscripts was already promised to Venice, in exchange for the Palazzo Molina. This arrangement was probably cancelled when he moved to Padua, the enemy of Venice, in 1368. The library was seized by the lords of Padua, and his books and manuscripts are now widely scattered over Europe.[27] Nevertheless, the Biblioteca Marciana traditionally claimed this bequest as its founding, although it was in fact founded by Cardinal Bessarion in 1468.[28]
Works
Original lyrics by Petrarch, found in 1985 in Erfurt
Petrarch’s Virgil (title page)(c. 1336)
Illuminated manuscript by Simone Martini, 29 x 20 cm Biblioteca Ambrosiana, Milan.
The Triumph of Death, or The 3 Fates. Flemish tapestry (probably Brussels, ca. 1510–1520). Victoria and Albert Museum, London. The three Fates, Clotho, Lachesis and Atropos, who spin, draw out and cut the thread of life, represent Death in this tapestry, as they triumph over the fallen body of Chastity. This is the third subject in Petrarch’s poem « The Great Triumphs ». First, Love triumphs; then Love is overcome by Chastity, Chastity by Death, Death by Fame, Fame by Time and Time by Eternity
Petrarch is best known for his Italian poetry, notably the Canzoniere(« Songbook ») and the Trionfi(« Triumphs »). However, Petrarch was an enthusiastic Latin scholar and did most of his writing in this language. His Latin writings include scholarly works, introspective essays, letters, and more poetry. Among them are Secretum Meum (« My Secret Book »), an intensely personal, guilt-ridden imaginary dialogue with Augustine of Hippo; De Viris Illustribus (« On Famous Men »), a series of moral biographies; Rerum Memorandarum Libri, an incomplete treatise on the cardinal virtues; De Otio Religiosorum(« On Religious Leisure »)[29] and De Vita Solitaria (« On the Solitary Life »), which praise the contemplative life; De Remediis Utriusque Fortunae(« Remedies for Fortune Fair and Foul »), a self-help book which remained popular for hundreds of years; Itinerarium (« Petrarch’s Guide to the Holy Land »); invectives against opponents such as doctors, scholastics, and the French; the Carmen Bucolicum, a collection of 12 pastoral poems; and the unfinished epic Africa. He translated seven psalms, a collection known as the Penitential Psalms.[30]
Petrarch also published many volumes of his letters, including a few written to his long-dead friends from history such as Cicero and Virgil. Cicero, Virgil, and Seneca were his literary models. Most of his Latin writings are difficult to find today, but several of his works are available in English translations. Several of his Latin works are scheduled to appear in the Harvard University Press series I Tatti.[31] It is difficult to assign any precise dates to his writings because he tended to revise them throughout his life.
While Petrarch’s poetry was set to music frequently after his death, especially by Italian madrigal composers of the Renaissance in the 16th century, only one musical setting composed during Petrarch’s lifetime survives. This is Non al suo amante by Jacopo da Bologna, written around 1350.
Laura and poetry
On April 6, 1327,[36] after Petrarch gave up his vocation as a priest, the sight of a woman called « Laura » in the church of Sainte-Claire d’Avignon awoke in him a lasting passion, celebrated in the Rime sparse (« Scattered rhymes »). Later, Renaissance poets who copied Petrarch’s style named this collection of 366 poems Il Canzoniere(« Song Book »).[37] Laura may have been Laura de Noves, the wife of Count Hugues de Sade (an ancestor of the Marquis de Sade). There is little definite information in Petrarch’s work concerning Laura, except that she is lovely to look at, fair-haired, with a modest, dignified bearing. Laura and Petrarch had little or no personal contact. According to his « Secretum », she refused him because she was already married. He channeled his feelings into love poems that were exclamatory rather than persuasive, and wrote prose that showed his contempt for men who pursue women. Upon her death in 1348, the poet found that his grief was as difficult to live with as was his former despair. Later in his « Letter to Posterity », Petrarch wrote: « In my younger days I struggled constantly with an overwhelming but pure love affair – my only one, and I would have struggled with it longer had not premature death, bitter but salutary for me, extinguished the cooling flames. I certainly wish I could say that I have always been entirely free from desires of the flesh, but I would be lying if I did ».
While it is possible she was an idealized or pseudonymous character – particularly since the name « Laura » has a linguistic connection to the poetic « laurels » Petrarch coveted – Petrarch himself always denied it. His frequent use of l’aura is also remarkable: for example, the line « Erano i capei d’oro a l’aura sparsi » may both mean « her hair was all over Laura’s body », and « the wind (« l’aura ») blew through her hair ». There is psychological realism in the description of Laura, although Petrarch draws heavily on conventionalised descriptions of love and lovers from troubadoursongs and other literature of courtly love. Her presence causes him unspeakable joy, but his unrequited love creates unendurable desires, inner conflicts between the ardent lover and the mystic Christian, making it impossible to reconcile the two. Petrarch’s quest for love leads to hopelessness and irreconcilable anguish, as he expresses in the series of paradoxes in Rima 134 « Pace non trovo, et non ò da far guerra;/e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio »: « I find no peace, and yet I make no war:/and fear, and hope: and burn, and I am ice ».[38]
Laura is unreachable – the few physical descriptions of her are vague, almost impalpable as the love he pines for, and such is perhaps the power of his verse, which lives off the melodies it evokes against the fading, diaphanous image that is no more consistent than a ghost. Francesco De Sanctis remarks much the same thing in his Storia della letteratura italiana, and contemporary critics agree on the powerful music of his verse. Perhaps the poet was inspired by a famous singer he met in Veneto around the 1350s.[39] Gianfranco Contini, in a famous essay on Petrarch’s language (« Preliminari sulla lingua del Petrarca ». Petrarca, Canzoniere. Turin, Einaudi, 1964) has spoken of linguistic indeterminacy – Petrarch never rises above the « bel pié » (her lovely foot): Laura is too holy to be painted; she is an awe-inspiring goddess. Sensuality and passion are suggested rather by the rhythm and music that shape the vague contours of the lady. In addition, some today consider Laura to be a representation of an « ideal Renaissance woman », based on her nature and definitive characteristics.
Aura che quelle chiome bionde et crespe
cercondi et movi, et se’ mossa da loro,
soavemente, et spargi quel dolce oro,
et poi ’l raccogli, e ’n bei nodi il rincrespe,
tu stai nelli occhi ond’amorose vespe
mi pungon sí, che ’nfin qua il sento et ploro,
et vacillando cerco il mio tesoro,
come animal che spesso adombre e ’ncespe:
ch’or me ’l par ritrovar, et or m’accorgo
ch’i’ ne son lunge, or mi sollievo or caggio,
ch’or quel ch’i’ bramo, or quel ch’è vero scorgo.
Aër felice, col bel vivo raggio
rimanti; et tu corrente et chiaro gorgo,
ché non poss’io cangiar teco vïaggio?
Breeze, blowing that blonde curling hair,
stirring it, and being softly stirred in turn,
scattering that sweet gold about, then
gathering it, in a lovely knot of curls again,
you linger around bright eyes whose loving sting
pierces me so, till I feel it and weep,
and I wander searching for my treasure,
like a creature that often shies and kicks:
now I seem to find her, now I realise
she’s far away, now I’m comforted, now despair,
now longing for her, now truly seeing her.
Happy air, remain here with your
living rays: and you, clear running stream,
why can’t I exchange my path for yours?
Petrarch is a world apart from Dante and his Divina Commedia. In spite of the metaphysical subject, the Commedia is deeply rooted in the cultural and social milieu of turn-of-the-century Florence: Dante’s rise to power (1300) and exile (1302), his political passions call for a « violent » use of language, where he uses all the registers, from low and trivial to sublime and philosophical. Petrarch confessed to Boccaccio that he had never read the Commedia, remarks Contini, wondering whether this was true or Petrarch wanted to distance himself from Dante. Dante’s language evolves as he grows old, from the courtly love of his early stilnovisticRime and Vita nuova to the Convivio and Divina Commedia, where Beatrice is sanctified as the goddess of philosophy – the philosophy announced by the Donna Gentile at the death of Beatrice.[42]
In contrast, Petrarch’s thought and style are relatively uniform throughout his life – he spent much of it revising the songs and sonnets of the Canzoniere rather than moving to new subjects or poetry. Here, poetry alone provides a consolation for personal grief, much less philosophy or politics (as in Dante), for Petrarch fights within himself (sensuality versus mysticism, profane versus Christianliterature), not against anything outside of himself. The strong moral and political convictions which had inspired Dante belong to the Middle Ages and the libertarian spirit of the commune; Petrarch’s moral dilemmas, his refusal to take a stand in politics, his reclusive life point to a different direction, or time. The free commune, the place that had made Dante an eminent politician and scholar, was being dismantled: the signoria was taking its place. Humanism and its spirit of empirical inquiry, however, were making progress – but the papacy (especially after Avignon) and the empire (Henry VII, the last hope of the white Guelphs, died near Siena in 1313) had lost much of their original prestige.[43]
Petrarch polished and perfected the sonnet form inherited from Giacomo da Lentini and which Dante widely used in his Vita nuova to popularise the new courtly love of the Dolce Stil Novo. The tercet benefits from Dante’s terza rima (compare the Divina Commedia), the quatrains prefer the ABBA-ABBA to the ABAB-ABAB scheme of the Sicilians. The imperfect rhymes of u with closed o and i with closed e(inherited from Guittone’s mistaken rendering of Sicilian verse) are excluded, but the rhyme of open and closed o is kept. Finally, Petrarch’s enjambment creates longer semantic units by connecting one line to the following. The vast majority (317) of Petrarch’s 366 poems collected in the Canzoniere (dedicated to Laura) were sonnets, and the Petrarchan sonnet still bears his name.[44]
Philosophy
Petrarch
Statue of Petrarch on the Uffizi Palace, in Florence
Petrarch is traditionally called the father of Humanism and considered by many to be the « father of the Renaissance. »[45] In his work Secretum meum he points out that secular achievements did not necessarily preclude an authentic relationship with God. Petrarch argued instead that God had given humans their vast intellectual and creative potential to be used to their fullest.[46] He inspired humanist philosophy which led to the intellectual flowering of the Renaissance. He believed in the immense moral and practical value of the study of ancient history and literature – that is, the study of human thought and action. Petrarch was a devout Catholic and did not see a conflict between realizing humanity’s potential and having religious faith.
A highly introspective man, he shaped the nascent humanist movement a great deal because many of the internal conflicts and musings expressed in his writings were seized upon by Renaissance humanist philosophers and argued continually for the next 200 years. For example, Petrarch struggled with the proper relation between the active and contemplative life, and tended to emphasize the importance of solitude and study. In a clear disagreement with Dante, in 1346 Petrarch argued in his De vita solitaria that Pope Celestine V‘s refusal of the papacy in 1294 was as a virtuous example of solitary life.[47] Later the politician and thinker Leonardo Bruni (1370-1444) argued for the active life, or « civic humanism« . As a result, a number of political, military, and religious leaders during the Renaissance were inculcated with the notion that their pursuit of personal fulfillment should be grounded in classicalexample and philosophical contemplation.[48]
The Romantic composer Franz Liszt set three of Petrarch’s Sonnets (47, 104, and 123) to music for voice, Tre sonetti del Petrarca, which he later would transcribe for solo piano for inclusion in the suite Années de Pèlerinage. Liszt also set a poem by Victor Hugo, » O quand je dors » in which Petrarch and Laura are invoked as the epitome of erotic love.
While in Avignon in 1991, Modernist composer Elliott Carter completed his solo flute piece Scrivo in Vento which is in part inspired by and structured by Petrarch’s Sonnet 212, Beato in sogno.[50] It was premiered on Petrarch’s 687th birthday.[51]
In November 2003, it was announced that pathologicalanatomistswould be exhuming Petrarch’s body from his casket in Arquà Petrarca, in order to verify 19th-century reports that he had stood 1.83 meters (about six feet), which would have been tall for his period. The team from the University of Padua also hoped to reconstruct his cranium in order to generate a computerized image of his features to coincide with his 700th birthday. The tomb had been opened previously in 1873 by Professor Giovanni Canestrini, also of Padua University. When the tomb was opened, the skull was discovered in fragments and a DNAtest revealed that the skull was not Petrarch’s,[52] prompting calls for the return of Petrarch’s skull.
The researchers are fairly certain that the body in the tomb is Petrarch’s due to the fact that the skeleton bears evidence of injuries mentioned by Petrarch in his writings, including a kick from a donkeywhen he was 42.[53]
Francesco Petrarch, Letters of Old Age (Rerum senilium libri), translated by Aldo S. Bernardo, Saul Levin & Reta A. Bernardo (New York: Italica Press, 2005). Volume 1, Books 1-9; Volume 2, Books 10-18.
Francesco Petrarch, My Secret Book, (Secretum), translated by Nicholas Mann. Harvard University Press.
Francesco Petrarch, On Religious Leisure (De otio religioso), edited & translated by Susan S. Schearer, introduction by Ronald G. Witt (New York: Italica Press, 2002).
Francesco Petrarch, The Revolution of Cola di Rienzo, translated from Latin and edited by Mario E. Cosenza; 3rd, revised, edition by Ronald G. Musto (New York; Italica Press, 1996).
Francesco Petrarch, Selected Letters, vol. 1 and 2, translated by Elaine Fantham. Harvard University Press.
^This designation appears, for instance, in a recent review of Carol Quillen’s Rereading the Renaissance.
^In the Prose della volgar lingua, Bembo proposes Petrarch and Boccaccio as models of Italian style, while expressing reservations about emulating Dante’s usage.
^ Jump up to:abRenaissance or Prenaissance, Journal of the History of Ideas, Vol. 4, No. 1. (Jan. 1943), pp. 69–74; Theodore E. Mommsen, « Petrarch’s Conception of the ‘Dark Ages' » Speculum17.2 (April 1942: 226–242); JSTOR link to a collection of several letters in the same issue.
^after « Albertino Mussato » who was the first to be so crowned according to Robert Weiss, The Renaissance Discovery of Classical Antiquity (Oxford, 1973)
^The last lay of Petrarch’s cat, Notes and Queries, Vol. V, Number 121, February 21, 1852, Author: Various, Editor: George Bell
^Bishop, pp. 360, 366. Francesca and the quotes from there;[clarification needed] Bishop adds that the dressing-gown was a piece of tact: « fifty florins would have bought twenty dressing-gowns ».
^ Tedder, Henry Richard; Brown, James Duff (1911). « Libraries § Italy.« . In Chisholm, Hugh. Encyclopædia Britannica. 16 (11th ed.). Cambridge University Press. p. 573.
^Letters on Familiar Matters (Rerum familiarium libri), translated by Aldo S. Bernardo, 3 vols.’ and Letters of Old Age (Rerum senilium libri), translated by Aldo S. Bernardo, Saul Levin & Reta A. Bernardo, 2 vols.
^April 6, 1327 is often thought to be Good Friday based on poems 3 and 211 of Petrarch’s Il Canzoniere, but in fact that date fell on Monday in 1327. The apparent explanation is that Petrarch was not referring to the variable date of Good Friday but to the date fixed by the death of Christ in absolute time, which at the time was thought to be April 6 (Mark Musa, Petrarch’s Canzoniere, Indiana University Press, 1996, p. 522).
^Anna Chiappinelli, « La Dolce Musica Nova di Francesco Landini » Sidereus Nuncius, 2007, pp. 55-91 [1]Archived February 2, 2011, at the Wayback Machine.
^See for example Rudolf Pfeiffer, History of Classical Scholarship 1300-1850, Oxford University Press, 1976, p. 1; Gilbert Highet, The Classical Tradition, Oxford University Press, 1949, p. 81-88.
^Encyclopedia of the Renaissance: Class-Furió Ceriol, Volume 2, page 106, Paul F. Grendler, Renaissance Society of America, Scribner’s published in association with the Renaissance Society of America, 1999. ISBN978-0-684-80509-2
^Mailman, Joshua B. (2009). « An Imagined Drama of Competitive Opposition in Carter’s Scrivo in Vento, with Notes on Narrative, Symmetry, Quantitative Flux and Heraclitus ». Music Analysis. 28 (2–3): 373–422. doi:10.1111/j.1468-2249.2011.00295.x.
Kohl, Benjamin G. (1978). « Francesco Petrarch: Introduction; How a Ruler Ought to Govern His State, » in The Earthly Republic: Italian Humanists on Government and Society, ed. Benjamin G. Kohl and Ronald G. Witt, 25-78. Philadelphia: University of Pennsylvania Press. ISBN0-8122-1097-2
Nauert, Charles G. (2006). Humanism and the Culture of Renaissance Europe: Second Edition. Cambridge: Cambridge University Press. ISBN0-521-54781-4
Rawski, Conrad H. (1991). Petrarch’s Remedies for Fortune Fair and Foul A Modern English Translation of De remediis utriusque Fortune, with a Commentary. ISBN0-253-34849-8
Kirkham, Victoria and Armando Maggi. (2009). Petrarch: A Critical Guide to the Complete Works. University of Chicago Press. ISBN978-0-226-43741-5.
A. Lee, Petrarch and St. Augustine: Classical Scholarship, Christian Theology and the Origins of the Renaissance in Italy, Brill, Leiden, 2012, ISBN9789004224032
N. Mann, Petrarca [Ediz. orig. Oxford University Press (1984)] – Ediz. ital. a cura di G. Alessio e L. Carlo Rossi – Premessa di G. Velli, LED Edizioni Universitarie, Milano, 1993, ISBN88-7916-021-4
Il «Canzoniere» di Francesco Petrarca. La Critica Contemporanea, G. Barbarisi e C. Berra (edd.), LED Edizioni Universitarie, Milano, 1992, ISBN88-7916-005-2
G. Baldassari, Unum in locum. Strategie macrotestuali nel Petrarca politico, LED Edizioni Universitarie, Milano, 2006, ISBN88-7916-309-4
Francesco Petrarca, Rerum vulgarium Fragmenta. Edizione critica di Giuseppe Savoca, Olschki, Firenze, 2008, ISBN978-88-222-5744-4
Plumb, J. H., The Italian Renaissance, Houghton Mifflin, 2001, ISBN0-618-12738-0
Giuseppe Savoca, Il Canzonieredi Petrarca. Tra codicologia ed ecdotica, Olschki, Firenze, 2008, ISBN978-88-222-5805-2
Roberta Antognini, Il progetto autobiografico delle « Familiares » di Petrarca, LED Edizioni Universitarie, Milano, 2008, ISBN978-88-7916-396-5.
Paul Geyer und Kerstin Thorwarth (hg), Petrarca und die Herausbildung des modernen Subjekts (Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2009) (Gründungsmythen Europas in Literatur, Musik und Kunst, 2).
The Rampin Rider or Rampin Horseman (c. 550 BC) is an equestrian statuefrom the Archaic Period of Ancient Greece. The statue was masterfully made of marble and has traces of red and black paint.
The head of the rider was found on the Acropolis of Athens in 1877 and donated to the Louvre. Parts of the body of the rider and horse were found ten years earlier in a ditch filled with statues broken during the 480 BC Persian sack of Athens. The head was not associated with the rest of the statue until 1936. The statue is displayed with a plaster cast of the head at the Acropolis Museum while the head remains at the Louvre where it is displayed with a cast of the rest of the statue.
The rider has many of the features typical of an Archaic kouros, but has several asymmetrical features that break with the period’s conventions.
Interpretations
The statue was originally thought to be a part of a set of statues, perhaps paired with another as a mounted presentation of Castor and Pollux common on vases from this period. According to another theory, the statue represents the winner of a race. This theory is supported by the crown of lovage, given to winners of the Nemean Games and the Isthmian Games, on the statue.
Giacobbe Giusti, Maître de Calci: Tête de Christ, Avignon, Musée du Petit Palais
Tête de Christ, Avignon, Musée du Petit Palais
Le Maître de Calci (en italien, Maestro di Calci ou Maestro della croce di Calci) est un peintreanonyme, actif à Pise entre 1240 et 1260 environ, de facture essentiellement lucquoise (Berlinghieri), mais influencée par la peinture pisane (Giunta Pisano)1
Ragghianti est à l’origine de sa définition en 19552, le dénommant d’après un fragment de crucifix conservé en l’église paroissiale de Calci, près de Pise.
L’Œuvre
D’abord considéré comme un maître de stricte facture lucquoise3, « personnalité anonyme de l’entourage des Berlinghieri »4, une partie de la critique récente insiste désormais sur le fait que son style tient compte des leçons du pisan Giunta Pisano5,6. Ainsi, pour Burresi-Caleca1, l’œuvre réuni sous son nom se définit à partir d’une interprétation des formes et des modulations lumineuses de Giunta : l’accentuation par des traits lumineux du clair-obscur renforcent ses effets plastiques et expressifs, amenant d’ailleurs des résultats assez similaires aux dernières œuvres de Berlinghiero Berlinghieri (par exemple dans le Crucifix de Fucecchio, lui-même vraisemblablement influencé par Giunta7).
Son traitement du thème traditionnel du Christus triumphans, en particulier celui du visage du Christ, s’appuie sur des procédés caractéristiques, qui ont servi de critères au regroupement effectué par Ragghianti8 : fort contrastes de lumière sur le visage, l’oreille gauche en forme de demi-lune, la barbe finement ondulée en traits fins mais fortement différenciés, les ondulations ligneuses des cheveux, la raie et les petites mèches à la racine de celle-ci…
Crucifix (fragment) – Tête de Christ, Calci
Garrison9 publie pour la première fois cette œuvre en 1949, l’attribuant à un artiste de facture lucquoise du milieu du xiiie siècle. En 1955 elle devient l’œuvre éponyme du maître de Calci, autour de laquelle Ragghianti regroupe des œuvres berlinghiesques similaires.
Carli en 195810 et, plus près de nous, Ferretti en 198711 confirment l’attribution, ainsi que Burresi et Caleca en 19936, ces derniers rapprochant plus précisément l’œuvre de celles de Bonaventura Berlinghieri, le fils de Berlinghiero Berlinghieri.
Tartuferi5 souligne le caractère « indéniablement pisan » de l’œuvre12, qui s’inspire selon lui directement de Giunta Pisano.
Crucifix (fragments d’Avignon et Rio)
Tête de Christ, Avignon, Musée du Petit Palais
Pour E. Garrison13, la Tête de Christd’Avignon est une œuvre lucquoise, ou pisane sous influence lucquoise, de l’école des Berlinghieri, exécutée vers 1245-1255, œuvre que selon une suggestion de Federico Zeri4, il rapproche d’un autre fragment un bras gauche du Christ avec saint Jean, autrefois dans la collection Sterbini à Rome, et aujourd’hui au Museu Nacional de Belas Artes de Rio de Janeiro. Les deux fragments proviennent effectivement d’un même crucifix, très proche de celui signé par Berlinghieri (Pinacothèque de Lucques). Cette attribution sera entérinée par les catalogues successifs du Musée du Petit Palais (1977, 1987, 20054) qui attribuent l’œuvre à l’École des Berlinghieri.
Alors qu’en 1955, Ragghianti8 l’ajoute au corpus du Maître de Calci, E. Carli (1958), quant à lui, y reconnaît la main d’un autre brillant élève de Berlinghiero, maître anonyme dénommé le Maître (du crucifix) de Castelfiorentino d’après le Crucifix de Santa Chiara à Castelfiorentino (aujourd’hui au Musée d’Art sacré de Volterra).
Dans son index des œuvres du duecento, Marques répertorie l’œuvre sous la rubrique « Lucca/Atelier ou entourage local des Berlinghieri »14 et y voit surtout le point de départ d’un deuxième moment « dans la production de cet ensemble d’ateliers lucquois au xiiie siècle […] qui s’affirmerait pleinement avec des œuvres du troisième quart du siècle, parmi lesquelles les diptyques de l’Académie de Florence15, les tabernacles de Cleveland16 et Frick17, les crucifix du palais Barberini à Rome, et du musée Bandini de Fiesole (Garrison no 468)18, la crucifixion du Getty Museum de Malibu19, le triptyque de Bilthoven20, etc. »21.
Ferretti en 198722 réaffirme l’attribution de Ragghianti au Maître de Calci; avis repris depuis par A. Tartuferi23, M. Boskovits24 et Carletti25.
Le Crucifix de San Paolo a Ripa d’Arno
Crucifix de San Paolo Ripa d’Arno
Du crucifix du xiiie siècle n’a été préservée que la tête du Christ, le reste du corps ayant été repeint au xvie siècle ou xviie siècle26. Signalée par Garrison27comme œuvre berlinghiesque, ajoutée par Ragghianti8 au catalogue du Maître de Calci, la restauration de l’œuvre en 1975-77 a permis de reconnaître encore plus nettement l’auteur du Crucifix de Calci26.
SUPINO 1894] (it) I. B. Supino, Catalogo del Museo Civico di Pisa, Pisa,
[BELLINI PIETRI 1906] (it) A. Bellini Pietri (A cura di), Catalogo del Museo Civico di Pisa, Pisa,
[SIREN 1914] (it) O. Sirén, « Maestri Primitivi. Antichi dipinti nel Museo civico di Pisa, », Rassegna d’Arte, Pisa, vol. XIV,
[COLETTI 1941] (it) L. Coletti, I Primitivi. I. Dall’arte benedettina a Giotto,
[LONGHI 1948] (it) R. Longhi, « Giudizio sul Duecento », Proporzioni, vol. II, , p. 5-54
[GARRISON 1949] (en) E. B. Garrison, Italian Romanesque Panel Painting. An Illustrated Index, Firenze,
[VIGNI 1950] (it) G. Vigni, Pintura del Due e Trecento nel Museo Civico di Pisa, Pisa,
[RAGGHIANTI 1955] (it) C. L. Ragghianti, Pittura del Dugento a Firenze, Firenze,
[CARLI 1958] (it) E. Carli, Pittura Medievale pisana, Milano,
[CALECA 1986] (it) « Pittura del duecento e del trecento a Pisa e a Lucca », dans La Pittura in Italia. I. Il duecento e il trecento, p. 233-264
[FERRETTI 1987] (it) P. Ferretti, « Problemei della Pittura pisana del Duecento: un Crocifisso inedito a Pisa e il Maestro della croce Di Calci », Arte Christiana, no LXXV, , p. 307-316
[MARQUES 1987] L. C. Marques, La peinture du Duecento en Italie centrale, Picard, , 287 p.
[BURRESI-CALECA 1993] (it) M. Burresi et A. Caleca, Le Croci dipinte, Pisa,
[BURRESI-CALECA 1999] (it) M. Burresi et A. Caleca, « Le antichità pisane dall’erudizione alla collezione », dans M. Burresi (a cura di), Alla ricerca di un’identita. Le pubbliche collezioni d’arte a Pisa fra Settecento e Novecento, Pontedera, , p. 21-120
[BOSKOVITS 2003] (it) M. Boskovits, A corpus of Florentine painting, Ornamental painting in Italy (1250-1310), Firenze,
[BURRESI-CALECA 2003] (it) A. Burresi et M. Caleca, Affreschi medievali a Pisa, Cassa di Risparmio di Pisa,
[BAY 2005] (it) C. Bay, « Scheda cat.52 – Dipinto murale, Crocifissione e Santi », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 195
[BURRESI-CALECA 2005] (it) M. Burresi et A. Caleca, Cimabue a Pisa : la pittura pisana del duecento da Giunta a Giotto, Pacini Editore SpA, (ISBN88-7781-665-1)
[BURRESI-CALECA 2005.1] (it) M. Burresi et A. Caleca, « Pittura a Pisa da Giunta a Giotto », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 65-89
[CARLETTI 2005.1] (it) L. Carletti, « Scheda cat.47 – Volto di Cristo [Calci] », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 188
[CARLETTI 2005.2] (it) L. Carletti, « Scheda cat.48 – Christus Triomphans [San Paolo a Ripa d’Arno] », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 189
[CARLETTI 2005.3] (it) L. Carletti, « Scheda cat.49 – Christus Triomphans [San Michele degli Sclazi] », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 190
[CARLETTI 2005.4] (it) L. Carletti, « Scheda cat.50 – Braccio del Cristo e San Giovanni [Rio] », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 191
[CARLETTI 2005.5] (it) L. Carletti, « Scheda cat.51 – Santa Caterina con storie della sua vita », dans Cimabue a Pisa (2005), p. 192-194
[LACLOTTE-MOENCH 2005] (it) M. Laclotte et E. Moench, Peinture italienne Musée du Peti Palais Avignon, RMN, (ISBN2-71184995-3)
↑Diptyque avec Vierge à l’Enfant entre huit saints et la Crucifixion entre deux scènes de la christologie, 103 × 61 cm, Florence, Accademia no 8575/8576; Cf. [Marques 1987], p. 294
↑Triptyque: Madone avec l’Enfant entre l’Annonciation, le Christ à la colonne et la Crucifixion, 33 × 20 cm, Cleveland Museum of Art. Cf. [Marques 1987], p. 294
↑Triptyque: Madone avec l’Enfant entre la Capture du Christ, le Christ à la colonne, la déposition de Croix et la Mise au tombeau, 126 × 101 cm, New York, Frick Collection, Cf. [Marques 1987], p. 294
↑Crucifix, 140 × 110 cm, Fiesole, Museo Bandini, vers 1250-60
The Master of the Osservanza Triptych, also known as the Osservanza Master and as the Master of Osservanza, is the name given to an Italian painter of the Sienese Schoolactive about 1430 to 1450.
The Italian scholar, Roberto Longhi, recognized that two triptychs formerly attributed to Stefano di Giovanni (il Sassetta), were the work of another hand, now generally referred to as the Master of the Osservanza Triptych. The Virgin and Child with St. Jerome and St. Ambrose (Basilica dell’Osservanza, Siena) and the Birth of the Virgin (Museo d’Arte Sacra, Asciano) are both stylistically similar to the work of Stefano di Giovanni, but have a narrative expression that is characteristic of Late Gothic painting.
Longhi observed that another group of paintings was closely related to these works and appeared to be by the same hand. These included the predella of the Osservanza Altarpiece (Pinacoteca Nazionale, Siena), a predella of St. Bartholomew (Pinacoteca Nazionale, Siena), Scenes of the Passion (Vatican Museums, Philadelphia Museum of Art, and Fogg Art Museum), the Resurrection (Detroit Institute of Arts), and Scenes from the Life of St. Anthony Abbot (panels in the National Gallery of Art, Washington D. C., the Metropolitan Museum of Art, the Yale University Art Museum and Museum Wiesbaden, Germany). Additionally, the full-length painting of St. Anthony Abbot in the Louvreappears to be from another altarpiece by the same master.
Research in 2010 by Maria Falcone in Siena has revealed the name of the Master to be Sano di Pietro. Falcone found a document about an altarpiece by the “Master of Osservanza” for a church in Asciano, just outside Siena, which was actually under the bishopric of Arezzo. The priest of the church in Asciano did not pay the painter and therefore the city government of Siena had to make an appeal to the bishop in Arezzo to force the priest from his district to pay the artist. The artist’s name was included on the document as Sano di Pietro.
Reference
Carli, Enzo, Sassetta e il Maestro dell’Osservanza. (I Sommi dell’Arte Italiana), Milano, Aldo Martello, 1957.
Fredericksen, Burton and Federico Zeri, Census of Pre-Nineteenth-Century Italian Paintings in North American Public Collections, Cambridge, Harvard University Press, 1972.
Witt Library, A checklist of painters c. 1200-1976 represented in the Witt Library, Courtauld Institute of Art, London, London, Mansell Information Publishing, 1978.
Maria Falcone, “La giovinezza dorata di Sano di Pietro: Un nuovo document per la ‘Natività della Vergine’ di Asciano”, Prospettiva, n. 138, April 2010, pp. 28–34.
Filippo Rusuti, (c. 1255–c. 1325) was an Italian painter, active in Rome between 1288 and 1297, and in Naples around 1320.
Rusuti belonged, along with Jacopo Torriti and Pietro Cavallini, to the so-called Roman school active in the late thirteenth century. Early in his career he worked on the fresco decoration of the Upper Basilica of San Francesco d’Assisi, perhaps alongside or after Torriti. The work included some parts of the story of Genesis, in particular the creation of Adam and Eve and perhaps the construction of Noah’s Ark.
His only signed work is the upper register of the mosaic decoration of the old facade of the Roman church of Santa Maria Maggiore, where the presence of Cardinal Pietro Colonna allows dating of the mosaic between 1288 and 1297. Art historians believe that the lower register of the same mosaic, with the stories of the founding of the Santa Maria Liberiana, is to be considered an intervention a few years later by the followers of Rusuti based on his drawings.
It was rebuilt for the presence of Rusuti (with his son John) in Poitiers, on the basis of a more careful reading of documents (now lost) which attest to a Filippus Bizuti or rather Ruzuti in 1309, in 1316-17, in the service of the king of France, but perhaps also in the wake of a column at the papal court in Avignon.
In early June 2010, the artist and scholar Alfred Breitman attributed frescoes discovered in a tower of the palace Senate in the Capitol to Filippo Rusuti, with the consensus of historians of ancient art.
References
F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli, 1266-1414, Roma 1969, pp. 132-135;
L. Bellosi, La pecora di Giotto, Torino 1985, pp. 20-25, 116-123;
La Pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, 2 voll., Milano, Electa, 1985, p. 435. ISBN88-435-2096-2.
Julian Gardner, Bizuti, Rusuti, Nicolaus and Johannes: some neglected documents concerning roman artists in France, « The Burlington magazine », 1011 (June 1987), pp. 381-383
Giotto e la sua eredità, Firenze, E-ducation.it, 2007, pp. 58-60,
Les marchés de Trajan (Macellum Traiani)N 1regroupent un vaste ensemble de bâtiments datant du iie siècle, construits en hémicycle sur les pentes du Quirinal, à proximité immédiate du forum de Trajan. Contrairement à ce que la dénomination de « marchés » semble indiquer, le complexe n’abrite pas seulement des activités commerciales qui sont représentées entre autres par les boutiques construites le long des rues et couloirs : une grande partie des bâtiments est également occupée par des bureaux administratifs.
Depuis 2007, les vestiges des marchés de Trajan abritent le « Museo dei Fori Imperiali ».
Localisation
Les marchés de Trajan sont situés entre la limite nord-est du forum de Trajan et les pentes du Quirinal, sur l’actuelle Via dei Fori Imperiali, à l’extrémité opposée à celle du Colisée (voir le plan).
Fonction
Le complexe, qui dissimule les traces des travaux d’excavations et retient les pentes du Quirinal, abrite des bureaux occupés par l’administration impériale. Le long des espaces ouverts et des rues desservant le complexe s’ouvrent des boutiques (tabernae). Les deux salles semi-circulaires latérales servaient quant à elles d’écoles ou d’auditoriums. Une partie du complexe central de l’ensemble a pu être occupée par le procurateur du forum du Divin Trajan, cité dans une inscription récemment découverte, qui est probablement responsable de la gestion et de l’entretien du monument. Des fonctionnaires impériaux sont chargés de superviser les approvisionnements en blé, en huile et en vin qui sont ensuite vendus à bas prix ou distribués gratuitement1.
On a longtemps pensé qu’il s’agissait d’un marché (le terme de « marchés de Trajan » date des années 1930), à l’image de nos centres commerciaux actuels, mais des fouilles récentesN 2 amènent à reconsidérer cette dénomination. En effet, l’étroitesse des couloirs et les escaliers d’accès assez raides rendraient difficile la circulation de marchandises.
Il est possible que le début des travaux d’excavation remontent à la fin du règne de Domitien, mais le complexe a été en grande partie construit en même temps que le forum de Trajan, au début du iie siècle, comme semblent l’indiquer les inscriptions retrouvées sur les briques, datées entre 109 et 113. Les plans de construction peuvent être attribués à l’architecte Apollodore de Damas. L’inauguration du complexe a eu lieu en 113.
Durant le Moyen Âge, les marchés de Trajan ont été modifiés par l’ajout d’étages, encore visibles aujourd’hui, et d’éléments défensifs comme la Torre delle Milizie, construite après 1200, qui surplombe l’édifice. Jusqu’au xive siècle, le complexe est connu sous le nom de Castellum Miliciae.
Plus tard, un couvent est construit dans la même zone, mais il est détruit au début du xxe siècle lors des travaux de restauration des marchés de Trajan.
Architecture
Pour la construction du forum de Trajan, il a été nécessaire de supprimer l’ensellement compris entre les collines du Capitole et du Quirinal, ouvrant un large espace communiquant avec le Champ de Mars, réalisant ainsi un des ambitieux projets d’urbanisme de César. C’est plus de 60 millions de mètres cubes de terre et de roche qui ont été déplacés, permettant l’aplanissement d’une zone d’environ 300 mètres sur 200. La structure en hémicycle concave et en gradins des Marchés de Trajan sert de soubassement et de soutènement à la pente de la colline du Quirinalqui a été creusée et évite les éboulements. Le complexe est aménagé, pour des raisons esthétiques et pratiques, en plusieurs bâtiments de brique organisés en une série de terrasses qui s’élèvent jusqu’au sommet de la colline du Quirinal. Le complexe compte près de 170 pièces différentes. La façade consiste en une grande exèdre en brique, concentrique à l’exèdre septentrionale du forum de Trajan. Une rue pavée de dalles de basalte sépare les deux exèdres.
Plan approximatif des marchés de Trajan et de leur emplacement par rapport au forum de Trajan.
Matériaux
Dallage au sol des marchés de Trajan, disposé en Opus spicatum.
D’un point de vue architectural, ces « marchés » sont remarquables par leurs voûtes cylindriques en tonnelle et par l’emploi de la brique, principal matériau de construction utilisé. Depuis le début du ier siècle, l’opus latericium (briques de terre crue) a peu à peu remplacé toutes les autres matières, liant solidité et commodité d’utilisation. Unie aux deux autres techniques de construction romaine, la clef de voûte et la structure monolithique obtenue avec une coulée de béton de chaux, cette technique a permis de couvrir le grand espace ouvert lors des excavations et de maintenir les pentes de la colline.
Rez-de-chaussée
Au rez-de-chaussée, la façade des marchés est composée de onze boutiques au plafond voûté et de deux entrées à chaque extrémité. Ces tabernae sont peu profondes et s’appuient directement sur la roche. Les portes, à peu près carrées, sont surmontées d’une architrave en travertin. La partie supérieure du mur des boutiques est percée de fenêtres.
Premier étage
Au premier étage, le mur est percé d’une série de fenêtres voûtées (à raison de cinq fenêtres pour trois boutiques du rez-de-chaussée) entourées de piliers de briques avec bases et chapiteaux et surmontées de petits frontons. Elles s’ouvrent sur un couloir voûté passant au-dessus des boutiquesqui dessert à l’intérieur dix autres boutiques. Il s’étend vers le nord, conduisant à un autre couloir flanqué d’un groupe de boutiques.
Deuxième étage
Au deuxième étage de l’hémicycle, une terrasse, située au-dessus du couloir voûté, soutient un groupe de boutiques tournées dans la direction opposée des celles des étages inférieurs. Elles s’ouvrent sur la via Biberatica (nom donné durant le Moyen Âge), une rue longue de 300 mètres environ.
Salles latérales et hall central
Sur les côtés de la façade, au rez-de-chaussée et au premier étage, se trouvent deux salles semi-circulaires, chacune recouverte d’un semi-dôme. La plus grande des deux, au nord, est éclairée par cinq grandes fenêtres. Celle du sud ne dispose que de trois ouvertures. Vers l’ouest, une autre salle semi-circulaire, avec un toit en demi-coupole, est adjacente à celle du niveau inférieur. Un escalier mène de la via Biberatica à un grand hall qui constitue le centre du complexe. La principale entrée se situe sur le côté nord. Ce hall, haut de deux étages, est divisé en deux parties, reliées par une série de six arches. Il contient six boutiques sur chaque côté au rez-de-chaussée.
Vue générale des Marchés de Trajan avec, à gauche, une des salles latérales.
Fenêtres du premier étage
Entrées de deux boutiques donnant sur la via Biberatica
Voûte du grand hall central.
Musée des forums impériaux
Le musée des forums impériaux fait partie des musées municipaux de la ville de Rome. Ouvert en 2007, le musée permet de visiter l’intérieur des marchés de Trajan et présente aux visiteurs des restitutions des bâtiments antiques réalisées à partir de fragments retrouvés sur place et de moulages, ainsi qu’une collection d’objets découverts dans la zone des forums impériaux.
Marchés de Trajan, vue générale.
Notes et références
Notes
↑Appellation moderne de l’ensemble des ruines du complexe construit sur les pentes du Quirinal qui date des années 1930.
↑Fouilles menées par l’archéologue Lucrezia Ungaro (directrice du Museo dei Fora Imperiali) dont les conclusions ont été rendues publiques en mars 2006 : article sur Philalithia [archive].
Références
↑(fr) Luc Duret et Jean-Paul Néraudeau, Urbanisme et métamorphose de la Rome antique, Realia/Les Belles Lettres, (ISBN2-251-33817-9), p. 119-124
Bibliographie
(en) Filippo Coarelli, Rome and Environs: An Archæological Guide, University of California Press, (ISBN978-0520079618), p. 121-125
Le panneau central montre une Vierge à l’Enfanttrônant surmonté de deux anges.
Des scènes de la Vie de la Vierge (six de chaque côté) entourent latéralement le panneau central :
Annunciazione dell’Angelo a Maria
Gioacchino scacciato dal Tempio
Gioacchino esce dalla città di Gerusalemme
Annuncio a sant’Anna e incredulità
Annuncio dell’angelo a Gioacchino
Sacrificio di Gioacchino
Sogno di Gioacchino
Gioacchino tra i pastori
Angelo che dice a sant’Anna di andare incontro a Gioacchino e incontro alla Porta d’Oro
Natività della Vergine
Presentazione della Vergine al Tempio
Santi Pietro, Paolo, Giovanni evangelista e Giovanni Battista.
Au pied du panneau central, sous l’arcade de la base du trône, se trouve la scène qui donne son nom à l’œuvre dédiée à saint Martin destinée à l’église éponyme :
Roberto Longhi le définit en 19481 à partir de l’étude stylistique de la Madonna di San Martinoconservée au Musée national San Matteo de Pise, en le distinguant des précédentes attributions du siècle précédent (Cimabue par Grassi en 18382 et Nistri en 18523), suivant l’avis de Venturi (1907) qui le considérait comme un peintre autonome4. Longhi émet aussi l’hypothèse que le Maître de San Martino pourrait être identifié avec le troisième maître d’Anagni.
Indépendamment de Longhi, Garrison, reprenant une hypothèse d’Hoffner, identifie de son côté l’auteur de la Madone de San Martino à Ranieri di Ugolino5. Enfin en 1998, Bellosi synthétisant les nouveaux éléments chronologiques l’identifie au père de Ranieri di Ugolino : Ugolino di Tedice6.
Vierge à l’Enfant entourée de deux anges, de saint Martin et le pauvre, et de saint Jean l’Évangéliste, tempera et or sur panneau, 92 × 128 cm, Pise, Musée national San Matteo
Sainte Anne et la Vierge enfant, et deux anges, tempera et or sur panneau, 126 × 76,5 cm, Pise, Musée national San Matteo (inv. 1585)
Christ bénissant, tempera et or sur panneau, 29,2 × 25,5 cm, Pise, Musée national San Matteo (inv. 1579)
Vierge à l’Enfant, tempera et or sur panneau, 27,5 × 18,5 cm, Pise, Musée national San Matteo (inv. 5725)
Crucifix, tempera et or sur panneau, 93 × 74 cm, provenant du monastère de San Matteo in Soarta, aujourd’hui Pise, Musée national San Matteo (inv. 1573)
Giacobbe Giusti, Musée national San Matteo
Giacobbe Giusti, Musée national San Matteo
Le couvent hébergeant le musée sur le lungarno Mediceo
Le musée national San Matteo (en italien : Museo Nazional di San Matteo) est un des musées de Pise.
Il est installé dans l’ancien couvent médiéval de San Matteo in Soarta, sur le lungarno Mediceo, sur la rive droite de l’Arno.
Le musée propose un ensemble complet d’œuvres de grands maîtres pisans et toscans du xiie siècle au xviie siècle, ainsi qu’une riche section archéologique et de céramique. Le nombre et la qualité de ses œuvres en font l’un des plus importants musées européens dans le domaine de l’art médiéval. Extraordinaire en particulier est la collection de peintures pisanes des xiie siècle/xiiie siècle. Ces œuvres de plus en plus étudiées par les historiens d’art les ont amené à reconnaître en la peinture pisane, le foyer majeur de la peinture italienne jusqu’au début du Duecento.
Histoire
L’ensemble de la riche collection de primitifs italiens du religieux Sebastiano Zucchetti(évêque de Cortone du 27 avril 1705 à septembre 1714) donné au musée de l’Œuvre du Duomo, hébergé et complété à partir de 1796, est ensuite intégré dans l’école de dessin de la ville puis à l’académie des beaux-arts, avant de devenir le fonds du musée civique de la ville. Celui-ci prend le statut de musée national en 1949 et est définitivement installé dans le couvent San Matteo.
Section archéologique (salles 1-6)
Cette section est vide, insuffisamment détaillée ou incomplète. Votre aide est la bienvenue ! Comment faire ?
Section des céramiques du xiiie siècle au xviie siècle (salles 7-12)
D’un grand intérêt est la section sur la fabrication de la céramique à Pise (salles 7 à 11). Au xie siècle, la république maritime de Pise alors à son apogée est alimentée par la céramique d’origine islamique. Elle va construire les premiers ateliers toscans, réussissant même vers 1250, à l’aide d’un vernis à base d’étain, à créer une majolique archaïque pisane, qui se caractérise par ses couleurs brun et vert. Au xive siècle, ces céramiques seront exportées sur tout le pourtour méditerranéen.
Les salles exposent ainsi de nombreuses pièces étrangères (bassins islamiques) et des réalisations locales. Ces dernières proviennent pour la plupart des murs extérieurs des édifices religieux, où elles ont été remplacées par des copies.
La salle 12 expose les pièces de la collection Tongiorgi, certaines étant notamment décorées a stecca (stries en baguettes).
Bibliographie
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975.
[GRASSI 1838] (it) R. Grassi, Descrizione storica e artistica di Pisa e de’ suoi contorni, vol. III, Pisa,
[NISTRI 1852] (it) G. Nistri, Nuova guida di Pisa e de’ suoi contorni, Pisa,
[VENTURI 1907] (en) A. Venturi, Storia dell’arte italiana (vol. V) : La Pittura del Trecento e le sue origini, Milan,
[GARRISON 1946] (en) E. B. Garrison, « Post-War discoveries. Earling italian Painting II », The burlington Magazine, vol. LXXXIX,
[SINDONA 1975] (it) E. Sindona, L’Opera completa di Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Milano,
[BIANCHI 1997] (it) A. Bianchi, « Maestro di San Martino », dans Enciclopedia Italiana G. Treccani – Enciclopedia dell’ Arte Medievale, (lire en ligne [archive])
traduction française : [BELLOSI 1998 (FR)]Luciano Bellosi (trad. Anne et Michel Bresson-Lucas), Cimabue, Actes Sud/Motta, , 303 p.(ISBN2-7427-1925-3)
[BURRESI – CALECA 2005] (it) Mariagiulia Burresi et Antonino Caleca, Cimabue a Pisa : La pittura pisana del duecento da Giunta a Giotto, Pacini Editore SpA,