Giacobbe Giusti, Lex de imperio Vespasiani
Bronzeinschrift des Vespasiangesetzes
Giacobbe Giusti, Lex de imperio Vespasiani
La lex de imperio Vespasiani è una legge(senatoconsulto) romana approvata dal Senato il 22 dicembre dell’anno 69 d.C e ratificata pro forma dai comizi, riguardante la definizione del potere e delle prerogative del Principe Vespasianorispetto a quelle del Senato stesso. La legge costituisce l’unico esempio di documento ufficiale che conferisce i poteri a un imperatore.
La parte che ci è pervenuta è solo una porzione[1]su un’iscrizione bronzea, rinvenuta nel 1347 da Cola di Rienzo nella basilica di San Giovanni in Laterano, e conservata presso i Musei Capitolinidi Roma. La tavola comprende otto clausole distinte.
La legge
Vespasiano utilizza il sistema dei precedenti per legittimare il proprio potere politico, modellato dunque sulla sommatoria dei poteri che in via di fatto furono esercitati dal Princeps in poi. Dal testo si evince che a Vespasiano fu concesso il diritto di agire al di sopra della legge come era stato fatto già da parte degli imperatori precedenti. Il testo sembra richiamare l’esempio dei predecessori (tutti tranne Caligola, Nerone, Galba, Otone e Vitellio), a partire da Augusto, per definire le prerogative « speciali » conferite agli imperatori, e per giustificare il diritto contenuto nella clausola discrezionale (la sesta) di prendere provvedimenti in qualsiasi campo della vita pubblica e privata. Il sesto capoverso (linee 17-21) nella trascrizione di Crawford:
(LA)« Utique quaecumque ex usu rei publicae maiestate divinarum, humanarum, publicarum privatarumque rerum esse censebit, ei agere facere ius potestasque sit, ita ut Divo Augusto, Tiberio Iulio Caesari Augusto, Tiberioque Claudio Caesari Augusto Germanico fuit » | (IT)« Perché abbia il diritto e il potere di fare ed effettuare tutto ciò che riconoscerà utile per lo stato e gli rechi grandezza nelle questioni divine e umane, pubbliche e private, come spettò ad Augusto, Tiberio e Claudio » |
(CIL VI, 930) |
Nel testo si legittima che il principe indica e presieda le sedute del Senato (con Adriano il senatus consultum diventerà poi definitivamente oratio principis in senatu habita, spogliando i senatori del potere di emanare senaticonsulti e lasciando loro l’unico compito di ratificare per acclamazione il discorso del principe). Inoltre si stabilisce che il principe è absolutus ex legibus[2], cioè sciolto dalla legge: la sua condotta è insindacabile. Inoltre il meccanismo della commendatio, attuato in via di fatto fin dall’età di Augusto, viene riconosciuto come norma di diritto.
È presente inoltre nella stessa legge una clausola, il Caput tralaticium de immunitate che stabilisce la supremazia gerarchica della Lex de imperio Vespasiani su tutte le altre norme ordinarie, e dunque in tutte le controversie, sia penali che civili. Il testo adottato conferisce inoltre valore a tale lex non solo dal momento dell’attuazione della stessa, ma anche specificandone la validità come legittimazione della condotta precedente ad essa dell’imperatore e di chiunque avesse agito in sua vece. Il principe risulta inattacabile sia per via diretta, che per via indiretta.
La legge rese stabile il nuovo ordinamento dello Stato che si era determinato con i poteri, formalmente straordinari, conferiti ad Augusto e ai suoi successori. Alla carica era collegato il titolo di cesare ed erano create le premesse per la sua trasformazione in senso ereditario.
Interpretazione
Difficoltosa è stata negli anni l’interpretazione della natura della legge. In particolare gli studiosi si sono divisi tra il considerare la legge una normale prassi, condivisa per tutti gli imperatori, un atto formale di investitura dei comizi ispirato dalla tradizione, oppure un atto eccezionale considerato opportuno dopo la confusione delle guerre civili e gli eccessi di Nerone. Si ritiene anche che fosse intenzione di Vespasiano, assunto il potere, di conferire una legittimazione alla propria funzione e inserirla negli ordinamenti pubblici, rimuovendo il carattere di « potestà eccezionale e rivoluzionaria » al principato per farne una magistratura superiore alle altre.[3]Intenso è anche il dibattito sulla corretta traduzione dell’iscrizione.
Note
- ^sulle ragioni della conservazione solo di questa parte della legge, Mariano Malavolta avanza l’ipotesi che « il celebre bronzo capitolino sia stato null’altro che uno scarto di officina, accantonato perché mal riuscito (con il suo vistoso doppio errore nella linea 18) e magari riutilizzato in un assai meno nobile contesto, che però gli assicurò la meritata immortalità«
- ^come riporterà Ulpiano nel III secolo nella formula celebre ripresa dal Digesto (1,3,31) « princeps legibus solutus est«
- ^Mariano Malavolta, Sulla clausola discrezionale della cosiddetta lex de imperio Vespasiani (PDF), monetaecivilta.it, p. 9. URL consultato il 26 maggio 2012.
Bibliografia
- Gabriella Poma, Le istituzioni politiche del mondo romano, Bologna, Il Mulino, 2009.
- Adam Ziólkowski, Storia di Roma, Milano, Bruno Mondadori, 2006.
- Mariano Malavolta, Sulla clausola discrezionale della cosiddetta lex de imperio Vespasiani (PDF), monetaecivilta.it. URL consultato il 26 maggio 2012.
Giacobbe Giusti, Lex de imperio Vespasiani
Vespasiani[1] ist das Antrittsgesetz des römischen Kaisers Vespasian, dessen Verabschiedung im Senat Tacitus auf den 22. Dezember 69 n. Chr. datiert.[2] Es ist in seiner zweiten Hälfte erhalten und stellt neben den Res Gestae Divi Augusti eine der wichtigsten Inschriften der Römischen Kaiserzeit dar.
Der Text hat die Form eines Senatsbeschlusses, wurde aber wohl zugleich auch von der Volksversammlung als Gesetz beschlossen. In ihm wird dem Bürgerkriegssieger Vespasian eine Reihe von Vollmachten verliehen, die zusätzlich zu der von Augustus geschaffenen legalen Basis des Prinzipats die Kaiserwürde formal auf den neuen Herrscher übertragen sollte. Die überragende Machtstellung des Kaisers sollte dabei dem Anschein nach mit der republikanischen Ordnung vereinbar bleiben und basierte daher einerseits auf dem imperium proconsulare maius, d.h. der erweiterten Kommandogewalt über die Grenzprovinzen (die den Oberbefehl über die Mehrheit der Legioneneinschloss), und andererseits auf der tribunicia potestas, also den erweiterten Rechten des Volkstribunen, die unter anderem das Vetorecht bei Senatsbeschlüssen beinhaltete. Die lex de imperio überträgt Vespasian überdies en blocauch alle weiteren Sondervollmachten, die Augustus, Tiberius und Claudius verliehen worden waren.
Überlieferungsgeschichte
Die zweite Hälfte des Gesetzes ist auf einer Bronzetafel erhalten. Sie wurde 1347 in der Lateranbasilika entdeckt und von dem damaligen Machthaber der Stadt Rom, Cola di Rienzo, an die Öffentlichkeit gebracht, um dem Papst die verfassungsrechtliche Einschränkung seiner Macht zu demonstrieren. Heute ist sie in den Kapitolinischen Museen in Rom ausgestellt.
Lateinischer Text und Übersetzung (Auszug)
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Einzelbestimmungen und Deutung
Dass ein gleiches oder ähnliches Gesetzesbündel seit Amtsantritt des Tiberius oder des Caligula an alle Vorgänger verliehen worden war, wird aufgrund weitgehend eindeutiger Belege in der Historiographie in neueren Spezialuntersuchungen kaum noch bezweifelt. Das Gesetz als solches kann also kaum mit der fehlenden Legitimation des Begründers der noch unbekannten flavischen Dynastie gedeutet werden, wie in der Forschung häufig geschehen, allenfalls die öffentliche Ausstellung des Dokuments, die wohl zu dessen Erhaltung beitrug.
Da die einzelnen Klauseln jeweils mit der Wendung utique („dass [es ihm erlaubt sein solle…]“) eingeleitet werden, handelt es sich bei der Inschrift um einen Senatsbeschluss, an dessen Ende eine Sanctio (Strafausspruch bei Übertretung des Gesetzes) hinzugefügt wurde, die zeigt, dass der Senatsbeschluss in der Volksversammlung formal als Gesetz (lex) genehmigt wurde, ohne dass der ursprüngliche Wortlaut geändert wurde. In der Forschung sieht man darin einhellig ein Sinnbild der nur noch formal und ohne Gestaltungskraft tagenden Volksversammlung.
Die Mehrzahl der Klauseln enthält Amtsbefugnisse, die bereits seit Augustus in den beiden vom Kaiser permanent bekleideten Ämtern weitgehend eingeschlossen waren: Die Vertragsschließung mit äußeren Königreichen (Klausel 1) war Bestandteil des imperium proconsulare maius, des formalen Oberbefehls über die legionsstarken Grenzprovinzen. Das Recht der Einberufung, Durchführung und Beschlusskraft des Senates (Klauseln 2 und 3) war bereits in der tribunicia potestas enthalten, der erweiterten Amtsgewalt des Volkstribunen, durch die der Kaiser im zivilen und stadtrömischen Bereich herrschte. Warum diese Kompetenzen zusätzlich verliehen wurden, ist unklar. Es ist möglich, dass die republikanischen Amtsbefugnisse präzisiert und erweitert werden sollten.
Außerdem wird die von Augustus wohl noch durch allgemeinen Konsens ausgeübte Bevorzugung eigener Kandidaten bei der Vergabe der höchsten Staatsämter formal sanktioniert (Klausel 4). Die Möglichkeit zur Vergrößerung des Pomeriums, der sakralen Stadtgrenze von Rom, hatte wohl nur kultische, kaum praktische Funktion (Klausel 5). Der Kaiser sollte möglicherweise mit dem Stadtgründer Romulus in Verbindung gebracht werden, dem die ursprüngliche Festlegung des Pomeriums zugeschrieben wird.
Folgenreich und umstritten ist die Interpretation der Klauseln 6 und 7. Klausel 6, auch „diskretionäre Klausel“ genannt, übertrüge in ihrer wörtlichen Auslegung dem Kaiser die absolute Ermessensfreiheit, die mit der von Augustus geschaffenen Konstruktion des Prinzipats unvereinbar zu sein scheint (wörtliche Übersetzung etwa: „dass alles ihm zu tun und zu verordnen, was zum Nutzen des Staates und unter Achtung der göttlichen und menschlichen, öffentlichen und privaten Institutionen ihm gut scheinen mag, er das Recht und die Vollmacht hat, ebenso wie der vergöttlichte Augustus, Tiberius und Claudius“).
Es wird in der neueren Forschung daher eine einschränkende Funktion der formelhaften Wendungen der Klausel angenommen. Ein möglicher Ansatz ist, den Verweis auf die (zu dieser Zeit nicht der Auslöschung des Andenkens verfallenen) Amtsvorgänger in dem Sinne zu verstehen, dass Vespasian in Hinsicht der Ermessensfreiheit an diejenigen Gesetze gebunden war, die unter den Vorgängern beschlossen worden und noch gültig waren. Dann macht dieser Zusatz aber kaum Sinn bei den Klauseln 1,2 und 5, bei denen er sich ebenfalls angehängt findet (ebenso bei Klausel 7). Besonders das Recht auf Erweiterung des Pomeriums, das allein auf Claudius verweist, für den sich die Erweiterung des Pomeriums inschriftlich bestätigt, erscheint unter dieser Interpretation widersprüchlich. Eine andere Auslegung führt die Wendung „zum Nutzen des Staates“ auf Vorbilder in republikanischen Gesetzesinschriften zurück, die in diesem Kontext dem Amtsträger gewisse, jedoch eher unverbindliche Limitierungen vorschrieb.
Der erstgenannte Ansatz argumentiert hauptsächlich mit dem Wortlaut von Klausel 7, die Vespasian prinzipiell von der legislativen Gewalt von Senat und Volksversammlung unabhängig macht, jedoch nur im Bereich dessen, was unter den Vorgängern üblich war und ihm andersherum alle unter den Vorgängern beschlossenen Vorrechte in ihrer Gesamtheit überträgt. Sollten tatsächlich alle Sondervollmachten damit en bloc verliehen worden sein, so wäre die Auflistung selektiver Gesetze in der Inschrift überflüssig. Die Klausel ist daher auch eher als Aufforderung an den Kaiser, sich bei Ausübung der Gesetze an seine „guten“ Vorgänger zu halten, verstanden worden. Allerdings kann man die zusätzliche Nennung von Einzelkompetenzen auch mit der antiken Rechtstradition begründen, die anders als im modernen normativen Recht die wiederholte Aktualisierung bestehender Gesetze bei Relevanz vorsah.
Die abschließende („retroaktive“) Klausel bestätigt die Gültigkeit der Beschlüsse Vespasians vor Inkrafttreten des Antrittsgesetzes. Ihre Rückwirkung wird in der Regel auf den dies imperii Vespasians bezogen, dem Herrschaftsantritt des Kaisers, den Tacitus auf den Tag der Akklamation durch das Heer (1. Juli 69 n. Chr.), nicht, wie üblich, der Beschlussfassung des Senats datiert. Somit könnte diese Klausel nicht bereits in entsprechenden Antrittsgesetzen der Vorgänger enthalten gewesen sein. Es ist allerdings auch möglich, darin eine technische Vorschrift zur Überbrückung des Zeitraums zwischen Beschlussfassung im Senat und Gesetzgebung durch die Volksversammlung zu sehen, also überliefertes Recht.
Die genaue Interpretation des formelhaften, teilweise archaisierenden Textes ist auch deshalb schwierig, weil systematische Rechtssammlungen, die zum Vergleich dienen könnten, erst seit dem dritten Jahrhundert erstellt werden, und sich die formale Amtsgewalt des Kaisers entscheidend geändert haben dürfte. Von der Diskussion dieser Frage hängen nicht nur Einzelfragen der Regierungszeit Vespasians ab, sondern die verfassungsrechtlichen Vollmachten des Kaisers im frühen Prinzipat.
Literatur
- Peter Brunt: Lex de imperio Vespasiani. In: Journal of Roman Studies. 67, 1977, S. 95–116 (Grundlegender Artikel, wenngleich er nicht den letzten Stand der Forschung widerspiegelt).
- Angela Pabst: „… ageret faceret quaecumque e re publica censeret esse“. Annäherungen an die lex de imperio Vespasiani. In: Werner Dahlheim (Hrsg.): Festschrift Robert Werner zu seinem 65. Geburtstag (= Xenia 22). Universitäts-Verlag Konstanz, Konstanz 1989, ISBN 3-87940-356-2, S. 125–148.
- Ausführliche Bibliographie bei: Julia Sünskes Thompson: Demonstrative Legitimation der Kaiserherrschaft im Epochenvergleich. Zur politischen Macht des stadtrömischen Volkes